NO vuol dire NO

Il Consiglio degli Stati svizzero ha approvato la modifica al Codice penale in relazione ai reati sessuali; In tal modo in futuro sarà possibile punire per violenza carnale anche chi compie il reato senza esercitare violenza fisica o psicologica ma ignorando esplicitamente la volontà contraria della vittima.

Le vittime delle violenze sessuali sono al 90% donne ma la legge prevede anche casi in cui la vittima di aggressione e coazione sessuale sia di sesso maschile.

Si tratta di un passo avanti nella legislazione in materia ma comunque di un compromesso caldeggiato  anche dall’esecutivo elvetico rispetto alla formula  del  “sì vuol dire sì” che considera reato un atto sessuale compiuto senza  consenso esplicito. Quest’ultima era del resto la tesi accolta dall’altro ramo del Parlamento svizzero nel dicembre dello scorso anno.  La necessità di   una modifica del Codice penale in materia era condivisa da tutti i gruppi parlamentari in presenza di sentenze assolutorie, anche recenti, per i responsabili di stupro in quanto la vittima non avrebbe mostrato, secondo i giudici, una sufficiente resistenza. La legislazione vigente fino a questo momento forniva d’altra parte margini legali per questa ingiustificata indulgenza.

In Svizzera si stima che il 12% delle donne abbia subito violenza sessuale ma solo l’8% di esse ha sporto denuncia e di questo viene ritenuta in parte responsabile la mancanza di norme giuridiche che assicurino condanne adeguate, generando di conseguenza sfiducia nella legge da parte delle vittime. La situazione non pare migliore nel resto d’Europa anche se fornire dati e fare raffronti precisi è reso difficile dalla carenza e dalla disomogeneità di fonti attendibili in materia.

Il dibattito che è sfociato nella decisione del Parlamento svizzero non ha una portata limitata ai confini della Confederazione ma investe una tematica all’ordine del giorno in molti altri Paesi.

A livello europeo la   cosiddetta Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta della violenza contro le donne ratificata nel 2011 definisce del resto lo stupro come un rapporto senza consenso. Tale consenso deve essere inteso “quale libera manifestazione della libertà della persona”. La Svizzera ha ratificato la Convenzione nel 2018 mentre l’Italia, che già lo aveva fatto nel 2013, ha tuttora una legislazione non del tutto in linea con essa e il governo attuale sta ponendo ostacoli al suo pieno recepimento da parte dell’Unione europea.

 In Svizzera chi  si batte per sancire anche in termini di legge il consenso esplicito dell’atto sessuale sostiene che esso  contribuirebbe a modificare la cultura sessuale del Paese e fornirebbe alle donne strumenti più efficaci per difendersi in quanto può accadere a una vittima di violenza sessuale di trovarsi in una situazione di paura che le impedisce qualsiasi forma di reazione. La sezione svizzera di Amnesty International, considera senz’altro la nuova legge un passo avanti sia pur limitato.  Cyrielle Huguenot, responsabile del settore Diritti delle donne dell’organizzazione sostiene tuttavia che con questa decisione parlamentare è andata persa un’occasione per proteggere il diritto di autodeterminazione delle donne, negando il principio fondamentale che ogni atto sessuale deve essere frutto di un consenso reciproco.

I favorevoli alla decisione assunta dal Consiglio degli Stati sostengono invece che il principio dell’esplicito consenso finirebbe per garantire in misura minore le donne in quanto difficilmente dimostrabile in sede processuale. Nel corso del dibattito parlamentare Karin Keller-Sutter, ministra della Giustizia, ha sostenuto che un no esplicito al rapporto sessuale lascia meno margini di interpretazione in sede processuale

L’aspetto processuale è indubbiamente il più controverso nella definizione del problema anche nei Paesi che hanno adottato il principio del reciproco consenso come il Canada, l’Islanda, l’Irlanda, il Regno Unito, il Belgio, Cipro e la Germania. Ci si interroga esplicitamente su quale sia la forma in cui questo consenso debba essere esplicitato in modo poi da avere una chiara e univoca valenza in sede giudiziaria.

Un caso particolare si è verificato in Spagna dove dallo scorso ottobre è entrata in vigore la Legge per la garanzia integrale della libertà sessuale. La legge applica in modo radicale il principio del consenso reciproco all’atto sessuale, eliminando la distinzione fra abuso sessuale e violenza. Un’impostazione così radicale avrebbe prodotto conseguenze impreviste e certamente non volute; secondo il Consiglio superiore della magistratura spagnola, infatti, molti condannati alle pene più gravi hanno ottenuto, grazie alla nuova legge, uno sconto di pena. Questo effetto della legge, secondo molti osservatori politici, costituisce una delle cause della pesante sconfitta della coalizione governativa di sinistra nelle recenti elezioni amministrative che ha indotto il primo ministro Sanchez a indire nuove elezioni. Un ripensamento sulla legge del resto si è fatto strada anche fra i suoi più strenui difensori al punto tale che Irene Montero, ministra delle Pari opportunità nel governo uscente, considerata massima responsabile del provvedimento legislativo, non verrà più ricandidata.

Ovviamente una regolamentazione legislativa dei reati di tipo sessuale è imprescindibile ma in termini generali la questione va affrontata da un punto di vista culturale, tenendo conto che il fenomeno degli abusi e delle violenze sessuali è particolarmente diffuso anche fra le giovani generazioni.

 

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