“La Svizzera è il Paese più europeo del continente (…) Nessun altro Paese d’Europa ha intrecciato da secoli le proprie vicende a quelle del continente in maniera così determinante”
Con questa affermazione dello storico André Holenstein, solo apparentemente paradossale, si apre il volume, con lo stesso titolo di questo post, che la rivista italiana di geopolitica Limes ha dedicato alla Confederazione.
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Il titolo allude ovviamente all’importanza non solo economica del Paese, dentro e fuori i confini nazionali ma anche al fatto che essa è poco ostentata e poco conosciuta, al di là di qualche consunto stereotipo, dagli stessi vicini europei, italiani compresi.
Senza poter dar conto di tutte le tematiche trattate nella corposa pubblicazione, tenterò qui di metterne in luce alcuni punti salienti.
Se, al di là del mito, la Svizzera moderna prende corpo con la costituzione del 1848, non si possono ignorare nella sua formazione, avvenuta nel corso dei secoli, le vicende precedenti, tutte strettamente intrecciate con la storia di altri Paesi europei. Al tempo stesso però la necessità di definire progressivamente una propria identità nazionale, fondata oltretutto su una complessa e variegata realtà linguistica e culturale, ha creato all’interno della Svizzera correnti di pensiero non di rado sfociate nell’isolazionismo e nel nazionalismo. La difficoltà di mantenere un’apertura al mondo in generale e all’Europa in particolare senza “perdere l’anima” costituisce uno dei problemi fondamentali che investe tutti gli ambiti della realtà elvetica. Un esempio della difficoltà di mantenere questo difficile equilibrio è dato dalle vicende svizzere durante le due guerre mondiali a cui, com’è noto, il Paese rimase estraneo non solo per meriti propri ma anche per complessi equilibri internazionali. Durante la Prima guerra mondiale la rispettiva attrazione verso la Germania della parte germanofona della Svizzera e verso la Francia di quella romanda rischiò di dissolvere la Confederazione mentre al contrario le vicende della Seconda Guerra mondiale furono un momento di unità nazionale, ancora oggi celebrata, di fronte a pericoli comuni.
Oggi il problema si ripropone in rapporto alla difficoltà di giungere a un accordo fra Svizzera e Ue per regolare in modo organico le proprie relazioni a tutti i livelli, la cui necessità appare imprescindibile ma che stenta a concretizzarsi per un mancato riconoscimento delle due parti delle legittime esigenze, non sempre facili da conciliare.
La stessa neutralità, che è una delle caratteristiche essenziali del Paese, fu il frutto degli interessi delle potenze europee nel corso del Congresso di Vienna del 1815 che tuttavia gli svizzeri sono riusciti nel tempo a far propria e a valorizzare
Oggi propria questa preziosa peculiarità elvetica deve affrontare la sfida delle vicende contemporanee a partire dalla caduta del muro di Berlino e del conseguente crollo dell’impero sovietico per arrivare alla nuova situazione determinata dall’aggressione russa all’Ucraina.
Se praticamente nessun cittadino della Confederazione oggi metterebbe in discussione il valore della neutralità, pochi riuscirebbero a definirne i contorni esatti alla luce della tormentata transizione verso un nuovo ordine mondiale ed europeo. Non a caso questo è anche uno dei temi più dibattuti fra le forze politiche svizzere.
Limes sottolinea giustamente la peculiarità del sistema politico svizzero che nel suo complesso può essere definito una democrazia semidiretta, in cui istituzioni rappresentative e forme dirette di partecipazione popolare quali i referendum e le iniziative di modifica costituzionale si bilanciano e completano a vicenda. Da notare come questo complesso sistema istituzionale si sia formato come sintesi di elementi tradizionali e degli istituti della moderna democrazia rappresentativa. Questa sintesi, accrescendo la partecipazione degli elettori alle scelte che li riguardano direttamente, può essere un parziale antidoto alla stanchezza che i sistemi democratici manifestano un po’ovunque.
Inoltre, il modello svizzero potrebbe in qualche modo ispirare la costruzione, ancora in divenire, di una vera e coesa Unione europea, capace, più di quanto non avvenga oggi, di coniugare e valorizzare le molteplici diversità all’interno di una struttura politico-istituzionale con elementi indispensabili di centralizzazione. Questo tipo di “svizzerizzazione” potrebbe favorire un avvicinamento se non addirittura un’adesione, al momento non ipotizzabile, della Svizzera a una futura casa comune europea
La presenza italiana in Svizzera ha un ruolo importante e ad essa la rivista dedica giustamente un’apposita sezione, all’interno della quale Toni Ricciardi, storico e parlamentare Pd della Circoscrizione Europa, delinea un’efficace sintesi dell’emigrazione italiana in Svizzera che ha radici lontane nel tempo; nel secondo dopoguerra si è progressivamente realizzata, attraverso vicende complesse e spesso dolorose, una progressiva integrazione di questa componente che oggi costituisce un elemento importane della realtà svizzera, aggiungendosi oltretutto a un’”italianità” linguistica e culturale storicamente presente nella Confederazione.
Spiace che, nella pluralità di interventi presenti nella pubblicazione, manchino in larga misura quelli di forze sindacali e della società civile che avrebbero potuto opportunamente completare il ritratto dell’odierna realtà elvetica.
Sarebbe così stato possibile far maggiore chiarezza, ad esempio sulla lotta sindacale per la difesa dei salari nel quadro dei rapporti con l’Europa.
Inoltre, sarebbe emerso un ritratto più realistico e completo del sistema scolastico e della formazione professionale che, pur con le innegabili punte di eccellenza che alcuni interventi giustamente evidenziano, non sono esenti da forme di discriminazione e di sfruttamento.