Forse sarà l’aria da fine anno che induce a bilanci che sul piano collettivo e dello stato del mondo suggeriscono pensieri cupi ma quando mi sono messo a scrivere il primo post dell’anno nuovo qualcosa mi ha bloccato.
Gli argomenti da affrontare non mancano certo ma ho sentito come un senso di inutilità dei piccoli sforzi compiuti da chiunque sia insoddisfatto dello status quo e voglia contribuire a cambiarlo.
Chi scrive questo blog cerca di vedere le cose da un punto di vista critico ma anche costruttivo, sforzandosi di individuare anche i lati positivi della realtà. Ma qualche volta, come in questo momento, mi sembra che ogni atteggiamento costruttivo sia inutile, che quello che cerchiamo di fare per incidere sulla realtà sia del tutto insufficiente.
Viviamo in un drammatico concentrato di crisi fra loro intrecciate e connesse con cui non eravamo abituati a doverci confrontare. Troppo ampia insomma appare la divaricazione fra il nostro modesto raggio di azione e la potenza di forze che agiscono al di fuori di ogni possibilità di controllo e che procedono in direzione contraria a quella che riterremmo auspicabile per la stessa sopravvivenza del genere umano.
Ci sforziamo, con le nostre contraddizioni, di rispettare l’ambiente, magari riciclando fino all’ultima bottiglia o all’ultimo involucro di plastica, indirizzando i nostri consumi alimentari verso prodotti sostenibili, viaggiando con il minor impatto ambientale possibile e poi assistiamo al sostanziale smantellamento delle politiche ambientali perché, stando almeno a quanto vorrebbero farci credere le nostre classi dirigenti, il loro perseguimento danneggerebbe l’economia e il nostro stesso benessere.
Assistiamo alla demolizione del welfare e delle politiche di sostegno alla povertà crescente perché ci raccontano che occorre armarci fino ai denti per fare guerre considerate ormai inevitabili.
Ci indigniamo per l’ennesima morte nel Mediterraneo e ci accorgiamo che ormai la morte dei disperati è diventata una routine accettata come un deterrente politicamente e moralmente giustificato contro un nemico inventato.
E gli esempi che tendono a far ritenere inutili i nostri sforzi per “restare umani” potrebbero essere molti altri, e cresce sempre più l’impressione di tentare inutilmente di nuotare contro una corrente inarrestabile.
Che fare allora? Rimuovere la realtà, rifugiandoci in un mondo che accolga solo le notizie buone, ammesso che riusciamo a scovarne a sufficienza?
Sforzo inutile, le cattive notizie ti inseguono sempre, a meno che tu non decida di rifugiarti su qualche isola sperduta, ovviamente priva di qualsiasi forma di collegamento con il mondo esterno, ma anche lì chissà…
Il pericolo di cedere alla rassegnazione e di ritenere immutabile la realtà rischia di soffocarci anche se siamo in molti ad avere coscienza che il modello di sviluppo che domina il mondo non sia in grado di risolvere l’intreccio delle crisi ma che ne è anzi in gran parte responsabile
Questo smarrimento nasce dalla difficoltà di trasformare un disagio vissuto spesso come individuale ma che in realtà avvertiamo comune a tante altre persone, in un’azione collettiva in grado di immaginare e di progettare una società diversa.
I poteri autoritari traggono linfa dalla solitudine impaurita di tanti io che non riescono a farsi noi.
Ci rendiamo conto che piccoli gesti individuali possono avere un senso se sono inseriti in un contesto complessivo di azione collettiva che lasci intravedere una prospettiva di trasformazione, altrimenti rischiano di generare solo frustrazione.
Alla crescente consapevolezza della natura di una situazione di crisi che richiede una drastica inversione di tendenza degli indirizzi politico-economici attualmente dominanti, fa dunque riscontro la difficoltà di costruire soggetti collettivi all’altezza di questo compito. Un ostacolo è rappresentato dalla frammentazione dei soggetti interessati a una drastica cambiamento di rotta ma anche dall’incapacità di immaginare un modello radicalmente diverso di società anche a causa dei fallimenti del socialismo in tutte le sue diverse versioni.
Ma se a questo disagio non è possibile sfuggire e se d’altra parte esso è ampiamente condiviso diventa necessario dare comunque ad esso uno sbocco costruttivo e collettivo.
E allora non resta che affidarsi al “principio speranza” come lo intendeva Ernst Bloch, in grado di farci percepire la realtà non come un dato statico e immutabile ma al contrario come continuo movimento ed evoluzione.
https://www.abebooks.it/principio-speranza-Bloch-Ernst-Mimesis/30503444631/bd
Dentro questo dinamismo perpetuo siamo chiamati a costruire forme di organizzazione che perseguano modelli rinnovati di società non precostituiti ma in gran parte da immaginare e creare. Non è un caso che questo stimolo ci venga da uno scrittore di origine ebraica sfuggito dagli orrori del nazismo ma poi disilluso anche dalla realtà del comunismo. Un pensatore che, nonostante gli orrori vissuti e le delusioni subite, non rinunciò allo sforzo di immaginare una realtà nuova, aperto per questo alla contaminazione di varie correnti di pensiero per cercare nuove sintesi; lo stesso compito con cui noi siamo oggi confrontati
In questo inquieto inizio di anno non resta che augurare prima di tutto a noi stessi di essere aperti a questo tipo di speranza e di coltivarla con dedizione.
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