Come Angelique scopre di essere Nera

Per molto tempo la Svizzera si è ritenuta immune dal razzismo, soprattutto da quello “classico” legato al colore della pelle. Questo pregiudizio positivo era legato al fatto che il Paese non aveva avuto un passato di colonialismo diretto, con l’occupazione e lo sfruttamento di possedimenti coloniali Questa illusione è venuta meno solo nel momento in cui si è preso  atto del problema e si è cercato di superarlo.

Una testimonianza diretta di questo processo, che è anche un percorso di crescita personale, è contenuta nel libro di Angelique Beldner recentemente pubblicato in Svizzera il cui titolo può essere tradotto con “Il razzismo nello specchietto retrovisore”.

https://www.limmatverlag.ch/programm/titel/982-rassismus-im-rueckspiegel.html

L’autrice, figlia di una svizzera tedesca e di un franco-beninese, conduce attualmente un popolare quiz televisivo della televisione della Svizzera tedesca, dopo esser stata la prima Nera a condurre un’edizione del Telegiornale.

Il titolo del libro fa riferimento a un episodio della vita di Angelique Beldner che, durante l’esame per la patente di guida, coglie   chiaramente nell’atteggiamento   dell’esaminatore, che decide di bocciarla ingiustamente, i segni del pregiudizio razziale. Ma il riferimento è anche al fatto che l’autrice, alla luce della propria maturazione personale e parallelamente ai cambiamenti intervenuti nella società svizzera, rivede criticamente e retrospettivamente tutte le umiliazioni e le discriminazioni vissute per il colore della sua pelle.

Angelique ammette di essere vissuta in condizioni sia familiari che sociali relativamente protette e di non essere mai stata vittima di episodi espliciti e violenti di razzismo. Tuttavia, ammette di essere riuscita solo in età matura   a dare un nome a tutte le umiliazioni subite fin da bambina e vissute come un disagio difficile da esprimere o talvolta accettate passivamente in nome del desiderio di apparire “normale”. Si va, per fare solo alcuni esempi, dalle storie sui “negri” in chiave selvaggia o esotica lette o ascoltate da bambina, alle domande sulla sua “vera origine” o ai complimenti per la padronanza dello svizzero tedesco, rivolti a lei nata e cresciuta in un paese dell’Oberland bernese.

Crescendo, episodi del genere si moltiplicano e coinvolgono anche i figli, quando ad esempio uno dei due viene visitato da un dermatologo che ipotizza ingiustamente e senza nemmeno visitarlo, la presenza di pidocchi fra i suoi capelli.

L’acquisizione di una nuova consapevolezza non si traduce solo in un atto d’accusa verso comportamenti rivelatori di pregiudizi razzisti   più o meno coscienti   ma comporta anche una sorta di autocritica per aver troppe volte taciuto di fronte alle discriminazioni subite personalmente o da altr*o di aver negato il pieno dispiegamento della propria personalità per adeguarsi a una “normalità” imposta dall’esterno e interiorizzata. A questo atteggiamento di passiva accettazione ha contribuito anche una parte del suo ambiente familiare e sociale, mentre la madre l’ha sempre incitata a essere sé stessa.

Emblematica di questo conformismo è l’inutile e dolorosa lotta a lungo combattuta da Angelique per far diventare lisci i suoi capelli crespi, prima di scoprire la dignità e la    bellezza di acconciarli rispettandone la natura. Anche come giornalista l’autrice ammette di non essersi sufficientemente spesa per riconoscere e denunciare le discriminazioni subite e osservate per il colore della pelle.

La comprensione e la capacità di chiamare per nome le esperienze della propria vita, raccontate anche in un documentario sulla vita di Angelique girato dalla regista Kathrin Winzenried nel 2020 (L’estate in cui diventai “Nera”) avvengono per una maturazione personale influenzata  anche  alla sua esperienza di mamma; il rapporto con i figli e il loro stesso modo di rapportarsi al mondo esterno sono stati infatti per lei un insegnamento prezioso.

 Nel 2020 poi, a seguito della brutale uccisone   da parte della polizia dell’afroamericano George Floyd, il movimento Black Lives Matter, sorto anni prima a seguito di episodi analoghi, conosce un nuovo slancio anche al di fuori degli Usa.In Svizzera, all’iniziale protesta contro il razzismo d’oltreoceano, fa seguito presa d’atto e una   riflessione sul razzismo esistente anche nella Confederazione. Sono gli anni in cui la parte più cosciente della società svizzera abbandona l’illusione dell’estraneità della Svizzera allo sfruttamento coloniale evidenziato dall’emergere della partecipazione ad esso di singoli imprenditori e di importanti imprese economiche elvetiche, con tutte le implicazioni di accettazione di ideologie razziste che questo comporta. È allora che Angelique “diventa Nera” nel senso che scopre la coscienza di un’“appartenenza politica e sociale”, e si posiziona in modo tale da porre in risalto il riconoscimento e l’opposizione alla discriminazione razziale.

Sempre guardando il suo passato nello specchietto retrovisore Angelique Beldner può osservare che, nella lotta al razzismo, la Svizzera ha fatto significativi progressi, grazie al fatto soprattutto che chi è vittima di discriminazione non accetta più di subirla in silenzio ma ha finalmente trovato le parole per denunciarla. Il riferimento agli aspetti verbali non ha un significato solo metaforico in quanto Angelique è convinta che le parole che usiamo siano un aspetto del modo in cui ognuno di noi costruisce la realtà e rivendica, perciò, la necessità di ripulire il linguaggio da tutte le incrostazioni razzistiche che ancora lo contaminano.

Rimangono ancora in vita non solo in Svizzera consistenti residui di quel razzismo strutturale che discrimina le persone non solo in base al colore della pelle, continuando a relegarle in ruoli subalterni all’interno della società.La strada da fare rimane ancora lunga ma il percorso è segnato e, secondo l’autrice, l’attuale regresso che investe le nostre società, tipico di una reazione a ogni processo rivoluzionario, non riuscirà ad arrestare la marcia verso la conquista piena dignità di tutti gli esseri umani.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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