Voci ebraiche per la pace

La professoressa Bella Gubbay, della rete. Mai indifferenti- Voci ebraiche per la pace ha cortesemente accettato di parlare con Sconfinamenti delle origini e del ruolo di questo raggruppamento all’interno del mondo ebraico italiano e delle sue posizioni rispetto alle attuali politiche israeliane.

Buongiorno e grazie di aver accettato di rispondere alle nostre domande. Vogliamo parlare del Vostro gruppo e delle prime iniziative che l’hanno contraddistinto?

La nostra rete è nata all’inizio del 2024 i con l’approssimarsi del Giorno della Memoria; una circolare della dirigenza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane invitava i propri affiliati, nelle diverse iniziative previste per quella data, a parlare solo della Shoah, senza alcun riferimento a Gaza, dove l’offensiva scatenata da Netanyahu, dopo il massacro del 7 ottobre, aveva  già causato la morte di 27.000 palestinesi. Io e altre persone, prevalentemente donne, ci siamo interrogate sull’opportunità o meno di seguire questo invito  e così è nata la nostra rete, attualmente composta da un gruppo operativo a Milano, di circa dieci persone attivamente impegnate.  Siamo nate/i come voce dissidente rispetto alle affermazioni dell’UCEI, lanciando un primo appello con cinquanta firme di ebrei italiani, poi aumentate a cinquecento circa con firme anche di non ebrei, seguito da un successivo appello per il cessate il fuoco a Gaza. In seguito, abbiamo organizzato due eventi pubblici a Milano molto partecipati, il primo nell’aprile del 2024 alla Casa della Cultura e il secondo il 19 gennaio del 2025 presso la fondazione Feltrinelli. Quindi abbiamo divulgato un nuovo appello mettendoci in rete con L3A-Laboratorio Ebraico Antirazzista e diverse associazioni israelo-palestinesi come Neve Shalom e Combattenti per la pace. Tutti i documenti che produciamo e gli eventi che organizziamo sono reperibili sul nostro sito:

https://maiindifferenti.it

Abbiamo iniziato anche a confrontarci con alcuni esponenti palestinesi (fra questi, Ali Rashid, uomo di grande cultura e moderazione, purtroppo recentemente scomparso) d’accordo con noi e  con alcune donne israeliane renitenti alla leva che hanno lasciato Israele e sono entrate nel nostro gruppo. Dopo questi appelli e iniziative contro la pulizia etnica a Gaza, in collegamento con associazioni ebraiche in sintonia con noi, abbiamo pubblicato il 25 febbraio sui quotidiani Repubblica e il Manifesto una pagina con un nuovo appello contro la pulizia etnica dei palestinesi. Questo ha scatenato violente reazioni negli ambienti comunitari ebraici con accuse addirittura di antisemitismo. Questa uscita pubblica ci ha comunque permesso di farci conoscere molto di più. In seguito presso il cinema Anteo di Milano abbiamo presentato spezzoni del documentario No other land, con relativa discussione, un evento bello e molto partecipato con ampia risonanza pubblica. Con noi collaborano anche Stefano Levi Della Torre che fornisce un forte contributo teorico e culturale di sintesi del nostro pensiero e il giornalista Gad Lerner che è la persona più conosciuta all’esterno.

Quali sono i vostri rapporti con la Comunità ebraica, in particolare a Milano?

Siamo tutti iscritti alla Comunità ebraica di Milano, tranne Gad Lerner che è iscritto a quella di Casale Monferrato. Abbiamo partecipato a due assemblee della Comunità per contestare la decisione di non essere presente con i propri gonfaloni alle celebrazioni del 25 Aprile. Noi abbiamo partecipato con nostri striscioni con la scritta: Voci ebraiche contro la pace -Cessate il fuoco. In vari interventi abbiamo ribadito il nostro antifascismo, legato anche alle esperienze storiche delle nostre famiglie, contestando al tempo stesso le affermazioni di Walker Meghnagi, Presidente della Comunità Ebraica di Milano, secondo cui gli ebrei italiani sarebbero più tutelati dall’attuale destra di governo che non dai partiti di sinistra. In Comunità abbiamo trovato qualche consenso che però stenta a esprimersi apertamente, per il prevalere di un clima di unanimistica adesione al pensiero unico espresso da Meghnagi. Inoltre, la nostra protesta ha anche contribuito alla rinuncia dello stesso Meghnagi a concorrere per l’assegnazione dell’Ambrogino d’oro, la massima onorificenza civica del Comune di Milano. Il rifiuto del gruppo dirigente della Comunità a dialogare con voci dissenzienti interne rende problematici i nostri rapporti con la Comunità stessa. Poi ci sono bollettini e giornali ebraici, anche di altre comunità, anch’essi schierati su posizioni ufficiali simili a quelle della Comunità di Milano (con l’eccezione del giornale Ha Keillah di Torino), ma al cui interno non mancano posizioni critiche.   Inoltre, abbiano partecipato al Convegno Dialogo ebraico organizzato dalla Comunità e dallo stesso rabbino di Firenze (ove abbiamo potuto esprimerci liberamente), nel corso del quale è stata stigmatizzata la chiusura al dialogo di Comunità come quella milanese, a voci di dissenso come la nostra.

Qual è appunto il Vostro atteggiamento nei confronti dell’attuale politica del governo israeliano?

Noi siamo nati come gruppo dissenziente, seppure ebrei, profondamente colpiti da quanto accaduto il 7 ottobre 2023, e ci poniamo in modo critico rispetto al governo di Netanyahu e all’estrema destra religiosa che lo condiziona pesantemente. In Israele c’è una forte opposizione al governo che si batte per la liberazione degli ostaggi, ma si esprime solo in minima parte sulla pulizia etnica dei palestinesi. Non abbiamo ancora avuto tempo di analizzare la proposta di Trump su Gaza e sulla Cisgiordania, anche se a prima vista ci sembra una proposta di stampo colonialista. Tuttavia, se ci fosse veramente il cessate il fuoco e la garanzia per i palestinesi di restare a Gaza sarebbe già un grosso passo avanti. Ci siamo ampiamente documentati su questioni attinenti all’antisemitismo e al conflitto israeliano-palestinese. In particolare, il libro di Daniel Bar-Tal, La trappola dei conflitti intrattabili cerca di analizzare e di superare con una chiave di lettura sia storica che psicologica la “cultura del conflitto” che divide in modo apparentemente inconciliabile israeliani e palestinesi.

https://www.francoangeli.it/Libro/La-trappola-dei-conflitti-intrattabili?Id=29520

Senza nulla togliere alle responsabilità di Hamas è innegabile un’oggettiva complicità fra le due parti. In particolare, vorremmo capire perché nella società israeliana, non solo a destra, si è affermata questa visione nazionalista e suprematista.  Vorremmo inoltre esplorare meglio la cultura ebraica prima della nascita di Israele e i mutamenti in essa indotti da questo evento, tema affrontato da Peter Beinart nel suo saggio Essere ebrei dopo la distruzione di Gaza. Su questi temi vorremmo produrre documenti con cui confrontarci con altre associazioni. Abbiamo anche contatti con Sinistra per Israele che pure ha una posizione critica verso il governo Netanyahu, ma che tende con troppa facilità a lanciare l’accusa di antisemitismo contro chiunque esca da certi schemi.

https://www.baldinicastoldi.it/libri/essere-ebrei-dopo-la-distruzione-di-gaza

Come vi ponete in merito alla discussione in corso sull’uso del termine genocidio a proposito di Gaza?

Secondo la definizione formulata originariamente da Raphael Lemkin, mi è parso in un primo momento che la definizione di genocidio presupponga la sentenza di un Tribunale internazionale  che ne sancisca anche l’uso. Con il procedere dell’intervento israeliano a Gaza molti hanno cominciato a usare questo termine, mentre alcuni come me preferiscono astenersene, senza nulla togliere ai crimini israeliani, anche per non alimentare polemiche pretestuose.

Capisco la prudenza giuridica ma temo che molte delle azioni compiute dall’esercito israeliano a Gaza rientrino nel quadro previsto da Lemkin per definire un genocidio. Parliamo ora della ripresa dell’antisemitismo facendo una premessa; è opportuno, a proposito dell’odio preconcetto verso gli ebrei, parlare di antisemitismo o sarebbe più appropriato parlare di antiebraismo?

Il problema terminologico esiste e merita un approfondimento ma dato che antisemitismo è un termine di uso comune, utilizzato anche da Netanyahu nelle sue accuse, non è opportuno rinunciare a utilizzarlo.

L’antisemitismo, comunque, al di là dell’uso strumentale del termine che i governanti israeliani e i loro sostenitori ne fanno, esiste e sembra purtroppo in aumento.

Noi ci battiamo contro quest’uso strumentale dell’accusa di antisemitismo tanto cara a Netanyahu per bollare qualsiasi critica all’attuale politica israeliana. Purtroppo, l’antisemitismo non è mai scomparso del tutto e gli avvenimenti degli ultimi due anni l’hanno alimentato. Perfino all’interno di manifestazioni che rivendicano legittimamente i diritti dei palestinesi non mancano espressioni di antisemitismo o di appoggio ad Hamas che allontanano persone come me dalla partecipazione.

E a questo proposito il 7 ottobre ricorre il secondo anniversario della strage compiuta da Hamas.

Non abbiamo in programma iniziative specifiche per il 7 ottobre ma ci proponiamo di comprendere meglio il ruolo di Hamas all’interno delle comunità palestinesi, la sua organizzazione, le sue alleanze e il suo ruolo di oppressione in particolare verso le donne palestinesi, che riguarda anche Fatah. I governi israeliani hanno avuto un ruolo di appoggio ad Hamas e spesso delle sue correnti più radicali al fine di indebolire l’Anp, prevalente in Cisgiordania. Bisogna anche capire come i palestinesi, da popolo tradizionalmente laico, abbiano aderito in gran parte al fondamentalismo islamico.

Attualmente Israele è governato dalle correnti più estreme del sionismo religioso e non.  Pensa che esistano forme diverse di sionismo compatibile con la democrazia o  esso contiene per sua natura germi nazionalisti antidemocratici?

La discussione al nostro interno è molto forte. Gad Lerner, ad esempio, si definisce sionista in quanto deve all’idea sionista la salvezza di una parte della sua famiglia. La maggior parte di noi è convinta che il sionismo abbia esaurito la sua funzione storica positiva. Il sionismo religioso, poi, è la principale causa del suicidio di Israele. Anche gli esponenti migliori del sionismo hanno nascosto molti aspetti negativi della storia di Israele, quali la distruzione di villaggi e la cacciata di molti palestinesi. Personalmente sono sempre più critica nei confronti del sionismo nel suo insieme. Questo atteggiamento critico è cresciuto nel tempo superando qualche remora iniziale dovuta alla mia educazione e alla mia formazione, Già durante gli anni in cui ho insegnato alla scuola ebraica ho constatato che ogni spazio di discussione rispetto al sionismo e a Israele, veniva sistematicamente precluso.

Anch’io per molto tempo, pur deprecando la politica israeliana verso i palestinesi, ho avuto qualche resistenza a esercitare una critica radicale. È stata proprio la lettura di autori ebrei israeliani a radicalizzare la mia posizione ancor prima dell’inizio dell’invasione di Gaza. Forse il sionismo come tutte le forme di nazionalismo ha in sé una radice antidemocratica.

Certamente. Naturalmente il giudizio deve tener conto anche del fatto che molti sopravvissuti alla Shoah hanno trovato finalmente in Israele un rifugio sicuro; è molto difficile esprimere un giudizio netto, bisogna approfondire l’analisi e la discussione.

È proprio questa tendenza di gruppi ebraici come il vostro a una continua discussione e riflessione a tener accesa la parte migliore della tradizione ebraica in momenti così travagliati.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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