L’attuale conflitto in Sudan, scoppiato nell’aprile 2023, sta causando una drammatica crisi umanitaria che non sembra tuttavia riscuotere e sollecitare, a livello internazionale, un’attenzione e un intervento adeguati.
Il Sudan si trova ina regione instabile anche a causa della sua importanza geopolitica e della produzione raffinazione ed esportazione delle risorse petrolifere; dalla proclamazione dell’indipendenza nel 1956 ha conosciuto quindici colpi di stato con relativi conflitti civili Da ormai due anni e mezzo si fronteggiano l’esercito regolare sudanese (Saf) e le milizie Rsf, (Forze di supporto rapido), una formazione paramilitare creata a suo tempo dal dittatore Omar Hasan Hamad al-Bashir.
Al-Bashir prese il potere con un colpo di stato nel 1989 mantenendolo per tre decenni; la sanguinosa repressione del tentativo secessionista del Darfur gli procurò a nel 2009 l’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità e un conseguente ordine d’arresto da parte della Corte penale internazionale. Nel 2011 poi la parte meridionale del Paese proclamò la propria indipendenza con la denominazione di Repubblica del Sud Sudan.
Nel 2019 l’esercito regolare si alleò con le milizie paramilitari per deporre al-Bashir, anche in seguito di un diffuso malcontento popolare per le condizioni economiche del Paese. Due anni dopo la deposizione di al-Bashir, tradendo le promesse di una transizione democratica, il nuovo potere si trasformò di fatto in una dittatura militare, fino alla rottura dell’alleanza e all’inizio di un nuovo conflitto nel 2023.
Il conflitto attuale ha le caratteristiche di una guerra civile e investe soprattutto i centri urbani e di conseguenza la popolazione civile che è fatta spesso deliberatamente oggetto di ogni genere di violenza. Si calcola che circa metà della popolazione sudanese soffra di privazione alimentare acuta mentre servizi essenziali quali acqua, sanità e istruzione sono sostanzialmente collassati. I due opposti schieramenti militari non hanno esitato nei due anni e mezzo di guerra a bombardare zone densamente popolate, colpendo deliberatamente obiettivi civili. Dalla capitale Karthoum il conflitto si è esteso ad altri Stati del Paese e in particolare ancora una volta al Darfur. Non si contano le uccisioni, le violenze deliberate contro persone inermi, le detenzioni illegali nonché i furti e i saccheggi che non hanno risparmiato neppure gli operatori umanitari che cercano di arrecare sollievo alle popolazioni colpite.
Nei campi profughi del Darfur sono segnalati quotidianamente casi di morte per fame. Circa tre milioni di sudanesi hanno varcato i confini del Paese dirigendosi verso Ciad, Etiopia, Sud Sudan e creando gravi elementi di instabilità. A questi si aggiungono circa nove milioni di sfollati interni e un circa trenta milioni di persone, fra cui 15 milioni di bambin*, bisognose in qualche modo di assistenza. Si calcola che dall’inizio della guerra vi siano già state nel Paese più di 150.000 morti.
La città di El:Fasher, capitale del Darfur del Nord, è caduta nelle mani delle milizie delle Rsf dopo diciotto mesi di assedio, durante i quali gli assedianti si sono resi responsabili di crimini contro la popolazione civile. Si tratta del resto delle stesse milizie create nel 2003 per reprimere nel sangue la ribellione del Darfur. La città conta circa 250.000 abitanti di cui solo una minima parte è riuscita a fuggire nella vicina Tawila.
La maggior parte delle persone ricoverate nell’ospedale di Medici senza frontiere di Tawila manifesta uno stato di grave malnutrizione. I rifugiati raccontano che a El Fasher gli assedianti hanno di fatto precluso agli abitanti l’accesso al cibo e agli aiuti umanitari. Molti degli abitanti della città sono stati costretti, in mancanza di altro, a cibarsi di cibo per animali, oltretutto venduto a caro prezzo. Sono stati segnalati anche molti casi di tortura mentre chi tenta di fuggire rischia di essere ucciso dal fuoco dei miliziani. A tale proposito Il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha incaricato l’apposita Commissione d’inchiesta di indagare sui responsabili dei crimini. Secondo testimonianze attendibili dopo la caduta della città i conquistatori avrebbero trucidato circa 2000 persone inermi, tra cui pazienti e operatori di un ospedale.
Non si intravede al momento la prospettiva di una soluzione stabile del conflitto che s’innesta su storiche divisioni etniche e religiose, già causa in passato di sanguinosi conflitti. Il Sudan si trova al centro di una zona di grande importanza geopolitica con relativo intervento di potenze straniere che acuiscono le ostilità. Pesa poi la predita di influenza di un organismo internazionale come l’Onu che possa efficacemente mediare fra le parti.
Gli Emirati arabi appoggiano le Rsf mentre Egitto e Arabia Saudita sono invece schierati con l’esercito regolare. I legami degli Emirati con gli Usa rendono difficile, nonostante le sollecitazioni, un efficace intervento di mediazione dell’Amministrazione Trump nei loro confronti. Esiste il fondato sospetto che tramite gli Emirati arrivino in Sudan anche armi di produzione europea. A sottolineare il carattere internazionale della crisi sudanese vi sono inoltre flussi migratori alimentati dal conflitto che attraverso la Libia investono l’Europa.


