Il 24 gennaio del 2020, Vanessa Nakate, l’ormai nota ambientalista ugandese, tenne, insieme ad altre quattro giovani attiviste, fra cui Greta Thunberg, una conferenza stampa sulle questioni climatiche, nell’ambito del tradizionale incontro internazionale organizzato ogni anno a Davos dal World Economic Forum.
Nel resoconto dell’Associated Press (AP), Vanessa non compariva nella foto scattata in precedenza insieme alle altre ragazze e il suo intervento non fu minimamente citato.
L’episodio fece il giro del mondo e l’AP fu costretta a rimediare a questa grave “dimenticanza”.
In un libro di recente pubblicazione, titolato “A bigger picture” e non ancora tradotto in italiano, Vanessa ripercorre la propria esperienza di vita e di impegno politico alla luce della riflessione e della maturazione indotti in lei dalla brutta esperienza di Davos.
“Il fatto di essere tagliata fuori da quella foto – scrive infatti Vanessa nell’introduzione – ha cambiato il corso del mio attivismo e della mia vita. Mi ha indotto a riformulare i miei pensieri riguardo alla razza, al genere, all’eguaglianza, alla giustizia climatica e mi ha portato a scrivere le parole che leggete in questo libro”.
A bigger picture si intitola significativamente il libro e, a partire da questa premessa, Vanessa Nakate individua il bisogno di dare spazio alla voce di chi già oggi soffre delle conseguenze dell’emergenza climatica e di mettere inoltre al centro dell’impegno ambientalista, tutti gli irrinunciabili obiettivi di emancipazione della parte più povera del mondo.
Nel settembre del 2020 Vanessa ha accettato l’invito delle Nazioni Unite a far parte del gruppo di 17 giovani leader dell’attivismo giovanile, scelti da altrettanti Paesi, con lo scopo di diffondere fra i giovani la conoscenza e l’impegno necessari per realizzare gli obiettivi del programma Onu della cosiddetta Agenda 2030.
Questo progetto si propone, entro la data indicata, di sollecitare passi decisivi nella direzione di uno sviluppo sostenibile, indicando un percorso per estirpare la povertà e la fame in tutto il mondo, per garantire a tutti l’accesso ai beni primari, a un lavoro dignitoso, alla salute, all’istruzione e per realizzare la parità di genere.
Come spesso avviene in questo tipo di accordi internazionali, a questi obiettivi ambiziosi, approvati in modo entusiastico da tutti i Paesi dell’Onu, non corrisponde un piano dettagliato e vincolante per realizzarli. Vanessa, pur cosciente dei limiti dell’Agenda 2030, coglie la sintonia fra la direzione di marcia indicata dall’Onu e la coscienza politica da lei maturata in questi anni.
Nel loro insieme, afferma infatti Vanessa, gli obiettivi di sostenibilità, per quanto difficili da conseguire, prefigurano un mondo profondamente diverso e migliore di quello attuale.
“Agire urgentemente per combattere il cambiamento climatico e i suoi impatti”; attorno a questo obiettivo dell’Agenda 30, secondo Vanessa, dovrebbero ruotare tutti gli altri.
La sua realizzazione deve essere perseguita attraverso la giustizia climatica che si prefigge di appianare le disparità di un mondo in cui I Paesi meno sviluppati, molti dei quali si trovano in Africa, pur essendo meno responsabili delle cause antropiche del riscaldamento climatico, ne pagano già oggi le conseguenze maggiori.
Il raggiungimento della parità di genere svolge, in proposito, un ruolo di grande importanza in tutto il mondo ma in particolare in Uganda e in molte altre realtà africane in cui le ragazze sono destinate a matrimoni precoci e subiscono gravissime limitazioni nell’accesso all’ istruzione, con gravi ripercussioni negative sul piano umano ed economico. Al tempo stesso alle donne, specialmente nelle campagne, è affidata non solo la cura dei bambini ma anche il compito di procurare il cibo alla famiglia, dedicandosi alle attività agricole ma anche percorrendo lunghe distanze per raggiungere i mercati o per procurarsi acqua potabile. Questo le rende più vulnerabili alle conseguenze dell’emergenza climatica ma anche più disponibili a impegnarsi per farvi fronte.
Non a caso, vi sono soprattutto donne, spesso in lotta anche contro radicati pregiudizi, alla guida di movimenti ambientalisti in varie realtà del continente. Vanessa ci porta a conoscenza di alcune di queste realtà politiche e culturali molto varie e vivaci ma poco conosciute alle nostre latitudini. La creazione di reti di solidarietà fra militanti di tutto il mondo, a cui Vanessa partecipa attivamente, è un elemento indispensabile per perseguire obiettivi comuni ma anche per fornire ogni forma di sostegno nelle situazioni più disagiate. Affrontare l’emergenza climatica significa anche concepire un modello di sviluppo economico in totale antitesi con quello attualmente predominante in cui i Paesi sviluppati sfruttano in modo indiscriminato risorse naturali limitate attraverso le grandi multinazionali che, in molti Paesi africani, attuano politiche di rapina con la complicità di classi dirigenti locali corrotte.
Questo significa spesso per molti attivisti fare i conti con realtà repressive anche estreme in cui la lotta e la protesta possono anche mettere a repentaglio la vita di chi si batte per cambiamenti radicali.
Ma l’azione dei movimenti ambientalisti africani non si limita alla protesta ma mira anche a mettere in atto piccoli frammenti di un mondo nuovo.
Con l’appoggio di una società di finanza climatica svizzera, ad esempio, Vanessa Nakate sta realizzando un programma per fornire, al maggior numero possibile di scuole ugandesi, pannelli solari che consentono la produzione dell’energia necessaria per le attività didattiche e per le indispensabili mense scolastiche. Questo progetto potrebbe essere esteso anche a molte economie domestiche che usufruirebbero in tal modo di energia a basso costo e a basso impatto ambientale.
Vanessa Nakate ha acquisito recentemente una vasta notorietà anche nel distratto mondo occidentale con la sua attiva e critica presenza ai lavori dello Youth for Climate di Milano e alle manifestazioni di protesta in occasione della Cop 26, la Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici
Ancora una volta alcuni cronisti l’hanno più o meno esplicitamente dipinta come una sorta di Greta Thunberg ugandese, mettendo in tal mondo di nuovo in ombra il ruolo specifico, non solo di una singola militante, ma anche dei movimenti ambientalisti di un intero continente.
La logica che ha portato a “tagliare” la foto di Davos è dura a morire ma la battaglia di Vanessa e delle altre per una “foto sempre più grande” finirà alla fine per imporsi.