Agromafie: anche se ci crediamo assolti…

Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”: così recitava un verso della “Canzone del Maggio” di Fabrizio de Andrè del 1973 nella quale  il cantautore genovese descriveva l’indifferenza, il distacco, l’apatia di quanti, durante le manifestazioni degli studenti nel maggio del 1968, decisero di voltarsi dall’altra parte, di chiudersi in casa, lo specchio di una società malata.

Ecco, però io vorrei passare dal “voi” al “noi”, perché tutti dobbiamo sentirci coinvolti, in quanto siamo tutti parte di una comunità e quindi tutti titolari degli stessi diritti e quando tolleriamo che una persona possa perdere dei diritti perché povero o straniero, ad impoverirsi è la nostra umanità e dignità.

Sono tante le situazioni che dovrebbero farci indignare ogni giorno, che certo implicano problemi politici e sociali complessi che richiederebbero interventi adeguati da parte delle istituzioni e delle autorità competenti ma di fronte alle quali anche ciascuno di noi è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità.

In quest’ambito rientra un problema forse poco eclatante, di cui  non si parla abbastanza, ma che produce i suoi effetti perversi non solo sui diritti delle persone, sull’economia di un intero settore, ma anche sulla nostra salute e che ci vede, spesso, inconsapevoli complici: quella delle agromafie.

Il mercato illegale dell’agroalimentare riguarda molti Paesi ma in Italia è uno dei più appetiti dalla criminalità organizzata. un “business” da 25,4 miliardi l’anno all’interno del quale, secondo un rapporto della Flai CGIL, ci sono circa 450mila persone che vivono in condizioni di sfruttamento lavorativo, di cui 130mila in condizioni di vera e propria schiavitù. L’infiltrazione malavitosa non colpisce solo la manovalanza con il vergognoso fenomeno del caporalato, ma anche gli stessi produttori che, schiacciati dalla grande distribuzione con il perverso meccanismo delle doppie aste al ribasso, hanno dovuto comprimere i costi del lavoro attraverso il ricorso a forme criminose di reclutamento e organizzazione della manodopera. La pratica delle aste al ribasso è stata ufficialmente vietata dallo scorso novembre attraverso un Decreto legislativo ma, anche se utilizzate ormai da una minoranza di soggetti della grande distribuzione organizzata, rappresenta comunque un riferimento per chi stipula contratti di fornitura.

La partecipazione all’asta avviene a seguito di una prima convocazione via e-mail da parte della catena di supermercati o del compratore, che chiede ai fornitori di proporre un prezzo per un determinato stock di merce. Raccolte tutte le offerte, il committente convoca nuovamente le aziende, utilizzando l’offerta più bassa come base d’asta per ottenere ulteriori ribassi di prezzo. In questo modo il produttore che vuole aggiudicarsi la vendita del lotto deve ribassare ulteriormente il listino nel tentativo di assicurarsi la commessa.

E’ una pratica di acquisto sleale, utilizzata soprattutto da alcune catene dei discount per assicurarsi la fornitura di diverse categorie di prodotti. Sui prodotti alimentari è molto in voga in diversi Paesi europei e anche in Nord America. In Italia questo tipo di aste viene  utilizzato per diversi prodotti, tra cui passata di pomodoro, olio, caffè, legumi, conserve di verdura.

Lo scopo è quello di tenere bassi i prezzi al consumo, ma questo obiettivo si raggiunge agendo su due fattori: abbassando i salari dei lavoratori e/o diminuendo la qualità delle materie prime. Tutto ciò ha un impatto immediato sulla qualità di ciò che mangiamo e, quindi, sulla nostra salute: solo una filiera alimentare pulita e giusta, infatti, viene sottoposta a tutti i controlli necessari a garantirci la salubrità dei prodotti che finiscono sui nostri piatti.

Il contrasto a questo fenomeno mafioso deve essere svolto su diversi fronti: da un lato il rispetto della normativa vigente, con controlli accurati da parte della Polizia giudiziaria, Carabinieri e Guardia di Finanza, moltiplicando gli accessi ispettivi; un importante deterrente potrebbe rivelarsi l’introduzione della «clausola sociale di condizionalità» nella nuova disciplina della Politica Agricola Comunitaria (Pac),secondo la quale  sostanziosi contributi europei possono essere concessi e mantenuti solo ad aziende in linea con i contratti collettivi di lavoro e la normativa nazionale ed europea.

Ma il vero contrasto può e deve partire dal basso, cioè da noi cittadini che dobbiamo imparare a diventare consumatori responsabili, stabilendo alleanze con i supermercati che si dimostrano più illuminati e virtuosi nella lotta all’illegalità. Anche le nuove tecnologie possono aiutare a suggellare queste alleanze: è il caso della blockchain, che potrebbe consentire la creazione e gestione di un database condiviso, con tutte le informazioni rilevanti sul singolo prodotto e sulla sua storia  che potrebbero poi finire riversate in etichette digitali contenute dentro dei Qr code. Uno strumento semplicissimo che, attraverso uno smartphone, consentirebbe al consumatore finale di conoscere l’intero iter attraversato da ciò che si sta acquistando.

In un’indagine svolta da Oxfam Italia, nell’ambito della campagna “Al giusto prezzo” (che ha tenuto conto del rispetto dei diritti umani, della sensibilità verso le questioni di genere, e della lotta al caporalato) è emerso che tra i supermercati più virtuosi vi sono Coop che commercializza, ad esempio, prodotti a marchio “Libera” Associazione contro le mafie, o i pelati a marchio “Riaccolto. La Terra della libertà”; seguono Esselunga, Selex e Conad; ancora insufficiente Eurospin. Nel prossimo articolo parlerò di un’iniziativa concreta messa in atto nelle campagne del foggiano per dare un contributo concreto e positivo alla lotta contro le agromafie a cui l’Associazione Mamre ha partecipato attivamente.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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