Alice Malerba, mamma, insegnante e scrittrice fra due culture

Integrarsi in una cultura “altra”, conoscere, apprendere e usare un’altra lingua, mantenere i contatti con la terra d’origine… tenere tutte queste cose insieme non è facile. Alice Malerba, torinese “trapiantata” a Zurigo da circa dieci anni, trova nell’arte teatrale e nella scrittura gli strumenti adatti   per esprimere emozioni, difficoltà e successi nel percorso di integrazione di una donna migrante di oggi che forma in Svizzera la propria famiglia lontana dagli affetti italiani.

Da Torino a Zurigo

Alice arriva a Zurigo, dalla sua Torino, fra la fine del 2011 e l’inizio del 2012; l’impatto con la nuova realtà è un po’ scioccante, soprattutto dal punto di vista culturale e professionale anche per la difficoltà di trasferire l’esperienza formativa e professionale maturata in Italia. A Torino, infatti, ha realizzato esperienze teatrali applicando   al mondo della scuola, con finalità socioeducative, la sua formazione in questo campo.

L’attività di scrittrice

Questo cambiamento costituisce per lei anche un momento di riflessione e di ricerca di un nuovo equilibrio che coincide con un’intensa attività di scrittura, una passione che  

 in realtà ha sempre coltivato   ma che in questa fase indirizza verso l’esterno anche con la partecipazione ad alcuni concorsi letterari.  Si tratta   di capire se la sua scrittura può diventare una forma di comunicazione coinvolgente e così nel 2012 arriva la pubblicazione di Mea culpa, una raccolta di dieci racconti in cui l’autrice esprime, attraverso una trasfigurazione letteraria, l’esperienza emotiva che ha vissuto.

I racconti sono molto diversi uno dall’altro per quanto riguarda personaggi, contesti sociali e storici ma Alice si rende conto che, quasi inavvertitamente, li accomuna la tematica della distanza, intesa non solo in senso spaziale ma anche emotivo, sociale e  in rapporto anche alle difficoltà che le persone devono affrontare nel trovare punti d’incontro, indipendentemente dal contesto in cui si trovano a vivere. 

In fondo anche ne La meccanica dei ruoli, il romanzo pubblicato nel 2014, ritorna lo stesso problematica, vista attraverso la vicenda esistenziale di due gemelli e della loro profonda empatia. 

Alice spiega che la relazione fra Ada e Cosmo, protagonisti del romanzo “completa, ripara soprattutto la mancanza   di figure genitoriali ma al tempo stesso crea una situazione di conflitto che la distanza fisica rende più complessa “.  Oggi, come scrittrice,  avverte  quasi un   certo disagio a parlare del romanzo per il   percorso umano e culturale   compiuto da allora e per il fatto che  un’opera letteraria, una volta pubblicata, inizia un suo cammino autonomo e i  ripensamenti verso di essa,  da parte di chi l’ha creata, non possono più cambiare quanto la carta ha fissato .

C’è poi il disagio e anche la frustrazione, al termine di una fatica letteraria, della ricerca di un editore e della difficoltà di metabolizzare ogni volta gli inevitabili rifiuti.

Dopo le prime pubblicazioni, Alice ha continuato a scrivere e il suo impegno come mamma si è rivelato   anche uno stimolo per affrontare nuove tematiche, fra cui appunto il tema della maternità visto in modo non edulcorato, quasi duro. Una neomamma si trova ad affrontare una realtà nuova da tutti punti di vista, compreso quello emotivo, che diventa ancora più impegnativa se la distanza impedisce di fruire del supporto della “famiglia allargata”.

La Svizzera, poi, non ha una politica familiare che venga incontro a queste esigenze; gli asili nido sono carissimi e la scuola materna ha orari scomodi per i genitori. Insomma, si viene a creare una situazione che ricade sulla famiglia e in particolare sulla donna, spesso di fatto costretta, almeno nei primi anni di vita del bambino, a uscire dal mondo del lavoro salvo poi tentare, dopo anni, di rientrarvi, con tutte le difficoltà del caso, specie in un mondo del lavoro competitivo come quello svizzero.

Nonostante la rilevanza di questo problema, in Svizzera nessuno ha pensato di modificare, attraverso gli strumenti della democrazia diretta, questa realtà che evidentemente viene in qualche modo accettata.

 Per un nuovo romanzo che ha impegnato Alice per oltre due anni, si prospettano buone possibilità di prossima pubblicazione. In questo romanzo è molto presente la realtà di Zurigo ed è centrale la tematica della resilienza, la capacità cioè di affrontare le difficoltà che la vita propone continuamente, mantenendo un atteggiamento ottimistico e propositivo. Al centro del racconto c’è infatti una donna che compie metaforicamente “il viaggio dell’eroina”; la protagonista, che ha un approccio alla vita che per certi versi può suscitare antipatia, si trova confrontata con una realtà sociale apparentemente immutabile ma è dotata di un temperamento che invece la spinge a cambiare la sua realtà esistenziale. 

Il lavoro 

Nel frattempo, Alice deve far fronte ai suoi molteplici   impegni, oltre che come madre, anche come insegnante di italiano per stranieri.

Quest’ultima attività, dapprima affrontata come una necessità lavorativa, ha col tempo rivelato aspetti gratificanti; diversi studenti seguiti per anni, compiono progressi linguistici notevoli e manifestano   un crescente interesse per la realtà e la cultura italiana, molto soddisfacente anche per l’insegnante.  Questo permette ad Alice di mantenere un contatto più stretto con la realtà italiana e di confrontarsi al tempo stesso anche con un approccio esterno ad essa.

Alice a Zurigo

Il teatro e la scrittura creativa

 Poco dopo il suo arrivo a Zurigo, Alice entra a far parte del locale gruppo amatoriale italiano Teatro dell’improvvisazione, che si ispira alle tecniche del cosiddetto playback theatre; alcuni spettatori propongono esperienze personali di vario genere e di particolare rilevanza emotiva per loro, che vengono immediatamente riprodotte e interpretate dagli attori.  Lo spettatore/attore può così rivivere ed elaborare un aspetto significativo del suo vissuto, osservandolo da un punto di vista esterno; si creano in tal modo situazioni emotive molto intense che coinvolgono anche il resto del pubblico.

Il gruppo teatrale si scioglie ma Alice rimane in contatto e continua a collaborare con tre partecipanti a quell’esperienza.

Con Lucilla Trapazzo, che è anche poetessa, Alice elabora un progetto denominato Punto D, incentrato su una serie di testi letterari attraverso cui raccontare tutta la vita di una donna con una performance che è in parte lettura e in parte rappresentazione teatrale, accompagnata anche da una colonna sonora musicale. 

Punto D viene messo in scena un paio di volte prima che la pandemia lo blocchi ma ora esiste la fondata speranza di poterlo riprendere, magari proponendolo anche a ragazzi delle scuole superiori, in modo da suscitare un dibattito sulla condizione della donna nei diversi contesti sociali e culturali. Carmela Fronterré, invece, fornisce di volta in volta un prezioso aiuto nell’individuare contatti e luoghi per eventi e letture in italiano mentre, con Linda Fallea, Alice condivide iniziative di presentazione dei rispettivi libri.

Oltre a questo Alice vorrebbe riprendere, a partire anche da un’esperienza precedente, un’attività di scrittura creativa per i ragazzi delle scuole a cui è importante trasmettere l’idea che scrivere non è solo una noiosa incombenza scolastica ma al contrario un modo libero di espressione della propria personalità. 

Alice mamma

Alice svolge con grande impegno questo ruolo, anche per il suo desiderio di vivere intensamente l’esperienza dei primi anni di vita di Matilde e Samuele, i suoi due bambini nati a Zurigo.

Sono anni molto intensi e, nella realtà di Zurigo, Alice può verificare ogni giorno come i bambini favoriscano l’integrazione in una realtà diversa da quella di origine; le prime esperienze prescolastiche dei figli costringono i genitori stranieri a uscire dalla bolla in cui sono vissuti fino a quel momento. Chi vive in una realtà straniera e ha figli piccoli tende a crearsi una specie di famiglia sostitutiva, tramite rapporti privilegiati con famiglie di connazionali che si trovano in situazioni analoghe, dando vita a una rete di aiuto reciproco e di solidarietà. Con l’inizio del percorso prescolastico anche Alice sente una spinta maggiore a usare il tedesco in tutte le circostanze sociali, senza continuare a “ripararsi” dietro l’italiano o l’inglese. Nella realtà specifica della Svizzera tedesca, tuttavia, anche una buona padronanza dell’Hochdeutsch (tedesco standard), senza un’adeguata conoscenza dello svizzero tedesco, non permette ancora una comunicazione profonda. 

 Si crea quindi la situazione particolare per cui sono i figli che fanno da tramite, anche per mezzo della lingua locale che imparano con straordinaria rapidità, con la realtà esterna.

Alice naturalmente vuole assolutamente che Matilde prima e Samuele poi, parallelamente all’apprendimento del tedesco scritto e orale, imparino a esprimersi correttamente anche in italiano. 

In generale la crescita dei figli rafforza i legami con la realtà svizzera e rende più problematico un eventuale ritorno in Italia che, soprattutto l’impossibilità di vivere attivamente la realtà culturale italiana, rendeva auspicabile prima della nascita di Matilde e Samuele. 

Crescere in Svizzera offre ai bambini una serie di vantaggi, fra cui quello di vivere a contatto con realtà linguistiche e culturali molteplici che crea già di per sé una maggiore apertura mentale attraverso un costante confronto e accettazione della diversità.

Anche Alice sente il bisogno di questo tipo di apertura che non faceva parte della sua formazione prima di venire in Svizzera, mentre Michele, il marito, era già abituato a confrontarsi con contesti internazionali.

Chi vive lontano dal suo luogo di origine deve poi rielaborare il concetto di appartenenza che, non potendo più essere legato al luogo in cui si è nati e cresciuti, può essere concepito come appartenenza a una cultura; per Alice questo è legato alla lettura e soprattutto alla scrittura che consente di collegare le esperienze vissute nel presente con quelle delle proprie origini.

In conclusione, anche per Alice si pone la necessità di conquistare, attraverso un difficile equilibro fra la necessaria apertura alla nuova realtà in cui ci si trova a vivere e le proprie origini, una vera integrazione; è il tema fondamentale, fatte salve le differenze legate alle situazioni individuali, con cui si deve confrontare chiunque lasci, volontariamente o no, la terra in cui è nato.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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