Anno nuovo: riprendiamoci il nostro futuro

 “Almanacchi, almanacchi nuovi, lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi nuovi?”

Nel Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, una delle più note Operette morali, Giacomo Leopardi immagina il dialogo fra un venditore di calendari per l’imminente anno nuovo e un passante.

Di fronte alla propaganda del venditore che prospetta un nuovo anno ricco di ogni felicità, il passante, con una pazienza maieutica ricca di comprensione umana, induce il suo interlocutore a riflettere sugli anni trascorsi e a individuarne uno che sia stato ricco di quella felicità auspicata per l’anno che sta per iniziare. Insieme i due personaggi giungono alla conclusione che nessuno degli anni passati è stato felice e che quindi il nuovo anno non dovrà somigliare a nessuno di quelli trascorsi. “Quella vita bella ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, non la vita passata ma la futura” In sostanza, l’unico possibile tentativo di sottrarsi all’infelicità della vita sarebbe l’attesa di un futuro migliore che promette felicità ma solo fino a quando anch’ essa non si rivelerà un’illusione, cioè finché l’attesa del “vago avvenir” non lascerà il posto alla realtà dell’amaro presente. 

Prescindendo dalle conclusioni filosofiche ed esistenziali a cui perviene Leopardi, credo che nel tempo in cui viviamo, provare a investire sul futuro non come illusoria speranza ma con il progetto di riappropriarcene almeno in parte, sia l’unico proposito possibile pe l’anno che sta per iniziare.

Nel 1992 Francis Fukuyama ipotizzò che l’umanità avesse raggiunto un livello di progresso sociale, economico, tecnico e scientifico che faceva pensare alla fine dell’evoluzione storica vera e propria.

Le democrazie liberali e il sistema capitalistico ad esse connesso, in questa visione, sono concepiti come un punto d’arrivo insuperabile del progresso umano e quindi, come interpreta Valerio Renzi, non esiste “un orizzonte più auspicabile di un connubio fra mercato e democrazia”.  In prima istanza si potrebbe osservare che paradossalmente proprio lo sviluppo storico successivo ha smentito la visione tardo hegeliana di fine della storia che ha ispirato la riflessione di Fukuyama. La democrazia liberale è indubbiamente una tappa importante per l’ampliamento della libertà ma va considerata essa stessa soggetta a necessarie evoluzioni e trasformazioni profonde rispetto alle sue   forme attuali, limitate oltretutto a una parte ristretta dell’umanità. La crisi delle democrazie liberali un po’ in tutto il mondo   risiede principalmente proprio in questo stretto legame con l’economia di mercato in una fase in cui quest’ultima sembra favorire sempre più apertamente, per la sua stessa conservazione, involuzioni autoritarie dei sistemi politici. Ecce Temelkuran, giornalista e scrittrice turca, esule per motivi politici, ha analizzato magistralmente, a partire dalla tragica esperienza del suo Paese, come una democrazia possa essere svuotata in modo graduale della sua essenza per trasformarsi quasi inavvertitamente nel suo contrario.

Da questo pericolo non è esente nessun Paese democratico, nemmeno, come alcuni segnali ci mostrano, gli Usa o la stessa Italia. Accettare perciò acriticamente come immodificabili e privi di possibili evoluzioni i sistemi politici ed economici attualmente prevalenti, equivale a interiorizzare   la convinzione di essere immersi in un eterno, immutabile presente, di cui occorre accettare con rassegnazione anche le più drammatiche distorsioni e le possibili degenerazioni.

La perdita di una prospettiva di un futuro su cui poter almeno minimamente incidere mi pare anche alla base del successo delle teorie complottistiche. La sensazione di una totale perdita di controllo sul proprio destino porta molti a credere che il mondo sia dominato da forze occulte e imperscrutabili da cui sembra impossibile difendersi o rispetto alle quali si cercano soluzioni sbagliate e spesso autolesionistiche.

Eppure, a parte gli aspetti etici, le sfide con cui l’umanità è confrontata esigono al contrario che vengano trovate soluzioni nuove, collettive, che sia immaginabile un futuro diverso che non ha sentieri già tracciati ma di cui occorre costruire il percorso momento per momento.

Qualcosa sembra muoversi in questa direzione; i movimenti che si richiamano a Fridays for future, ad esempio, mostrano la capacità di mobilitare i  giovani di  tutto il mondo  nella consapevolezza  delle minacce che incombono sulle loro stesse esistenze, ma proprio per questo   decisi a battersi  per costruire insieme  un progetto credibile di  futuro.

La stessa Temelkuran invita a uscire dalla rassegnazione insita nell’idea che non ci siano alternative al mondo attuale, invitandoci a riscoprire il valore di una fede civile che ci fa ritenere possibile e necessario cambiare la realtà.

Quindi per l’anno nuovo, una determinazione temporale da assumere con lo stesso valore simbolico che ciascuno di noi dà a questo passaggio puramente cronologico, poniamoci come obiettivo il proposito di riconquistare un pezzettino di futuro come progetto concepibile solo collettivamente.

Buon anno e buon futuro a tutti

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