La contrapposizione fra un blocco occidentale dominato dagli Stati Uniti e uno orientale guidato dall’Unione Sovietica, nata alla fine della Seconda guerra mondiale, ha comportato non solo un contrasto di tipo politico-militare ma ha avuto importanti riflessi ideologici, che si sono tradotti in orientamenti opposti anche negli schieramenti politico-sociali dei vari Paesi.
Anche se questa fase storica si è conclusa con la caduta del muro di Berlino e la successiva dissoluzione dell’Unione Sovietica, il fenomeno ha acquisito aspetti che permangono non solo come residuo del passato ma anche in forme nuove. Il campismo indicava la tendenza a schierarsi con il campo capitalista oppure con quello cosiddetto socialista dominato dall’Urss. Il termine ha preso una connotazione negativa in quanto questa rigida contrapposizione ha condotto a visioni manichee, a una logica perniciosa del “noi contro loro” per cui dalla “nostra parte” risiede ogni aspetto positivo e dalla “loro” tutto il male possibile.
In quest’ottica di lotta del Bene contro il Male tutto è consentito per sconfiggere l’altro, il nemico che è considerato espressione di barbarie e di inciviltà. Qualsiasi azione compiuta da proprio campo è ritenuta giusta da chi vi si identifica mentre quelle del campo opposte vengono a stigmatizzate a priori. Il (neo) campismo di sinistra su cui intendo qui soffermarmi in modo particolare ha trovato nelle posizioni rispetto alla guerra in Ucraina la sua più recente manifestazione.
Chi scrive è fermamente convinto che la responsabilità dello scoppio della guerra vada addossata alla Russia di Putin, il che non impedisce di pensare che anche il fronte opposto abbia le sue responsabilità prima e dopo lo scoppio della guerra.
La a Russia di Putin è un regime oppressivo e sostanzialmente dittatoriale al suo interno e manifesta un’indole indole aggressiva verso l’esterno, esplicitamente proclamata dal dittatore russo che non nasconde il suo desiderio di ricostruzione della grande Russia, con riferimento all’ epoca zarista ma anche sovietica in salsa soprattutto stalinista. Poco importa se questo sogno si traduce in un incubo per repubbliche che si sono nel frattempo rese indipendenti come appunto l’Ucraina o altri territori dell’ex impero russo-sovietico.
Dato che l’Ucraina è appoggiato dal campo occidentale,, dichiaratamente guidato dagli Stati Uniti (almeno prima della rielezione di Trumpe) e sostenuto dall’Unione europea, questa contrapposizione ha suscitato la simpatia o ameno la benevola comprensione verso il regime putiniano da parte di tutti coloro che individuano nell’imperialismo americano e nei suoi alleati occidentali l’unico nemico da battere.
Oggi paradossalmente fra i sostenitori o coloro che provano empatia verso il regime putiniano troviamo da un lato i partiti e i movimenti occidentali più reazionari che ne condividono coerentemente i valori e dall’altro spezzoni compositi di sinistra anticapitalista, questi ultimi attratti anche dal richiamo della propaganda russa a una presunta necessità di “denazificare” l’Ucraina che dovrebbe giustificare la cosiddetta operazione speciale. Non si tratta qui di accettare in pieno tutti gli aspetti della società ucraina né di essere ciechi di fronte agli interessi occidentali in gioco. Nessuno nega che in effetti in Ucraina siano presenti gruppi neonazisti sia pure minoritari ma influenti e che una maggiore tutela delle minoranze russe In Ucraina prima della guerra avrebbe quanto meno attenuato i pretesti aggressivi russi.
Ma questo nulla toglie alla sia pur difficile evoluzione democratica dell’Ucraina e al suo diritto a difendere la propria integrità territoriale che hanno necessariamente trovato nello schieramento occidentale l’unica possibile sponda.
Proprio l’anelito di libertà del popolo ucraino è l’elemento decisivo per stare sia pure criticamente dalla sua parte e questo non può essere subordinato, in particolar modo da chi si dichiara di sinistra, a una distorta visione geopolitica che trascura la volontà dei popoli. Simili posizioni aberranti erano emerse anche durante la guerra civile in Siria quando i campisti di sinistra avevano finito per appoggiare Assad e il suo alleato russo pur di avversare il fronte occidentale, anche in questo caso in barba agli interessi di un popolo oppresso.
Il rifiuto di questo antimperialismo a senso unico non significa rinunciare alla lotta contro gli orrori dell’imperialismo Usa, sia pure in versione trumpiana. Basti pensare ai milioni di morti delle guerre per “esportare la democrazia” o all’appoggio occidentale al genocidio di Gaza.
Ma un crimine non ne cancella un altro per cui il giusto appoggio alla resistenza ucraina contro l’aggressione russa non esclude di cercare altre vie per lottare contro gli imperialismi che partano dai diritti dei popoli e dal rispetto dei diritti umani, dalla ricerca di alleanze dal basso fra i movimenti di liberazione di tutto il mondo, lontano da ogni machiavellismo geopolitico.
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