Antispecismo : la centralità della questione animale

In un famoso articolo del 1916 Sigmund Freud sosteneva che, nel corso della storia, la scienza ha inferto tre dure umiliazioni al narcisismo umano, cioè alla pretesa del genere umano di essere al centro dell’Universo e della Terra e pienamente padrone di se stesso.

Dapprima Copernico ha mostrato che la Terra non è al centro dell’Universo ma una piccolissima realtà al suo interno.

In seguito, Darwin ha provato che gli esseri umani non sono estranei al mondo animale ma ne fanno parte. Infine, lo stesso Freud ha sostenuto addirittura che l’Io “non è padrone a casa propria”, non è in grado cioè di controllare pienamente la propria “anima” in quanto l’attività psichica non coincide e non si esaurisce con la coscienza. http://www.nilalienum.it/Sezioni/Freud/Opere/DiffPsicoan.html

È arrivato il momento di infliggere, per dirla con Freud, una quarta umiliazione al narcisismo umano, andando oltre le geniali intuizioni di Darwin.

Il grande scienziato britannico aveva dimostrato in modo irrefutabile l’appartenenza degli esseri umani al mondo animale, attribuendo però loro un ruolo di assoluta predominanza all’interno di esso.

Un millenario pregiudizio antropocentrico ha indotto l’essere umano ad arrogarsi il diritto di sfruttare indiscriminatamente a proprio piacimento tutto ciò che esiste sulla Terra, fino a mettere a repentaglio gli stessi equilibri della vita sul Pianeta.

Da questa visione del mondo si alimentano le profonde radici culturali del cosiddetto specismo, termine creato dallo psicologo britannico Richard Ryder nel 1970 per indicare l’autoconvinzione, propria degli esseri umani, di essere per natura superiori agli altri animali e di avere per questo diritto a esercitare un dominio assoluto e arbitrario su di essi. Questa pretesa definita naturale è in realtà frutto di una precisa costruzione ideologica funzionale a giustificare la struttura del mondo attuale con i suoi squilibri e i suoi meccanismi di dominio.

La contrapposizione corrente fra l’essere umano da una parte e gli altri animali dall’altra non tiene conto dell’enorme varietà e diversità del cosiddetto mondo animale e costituisce un’implicita contraddizione della stessa teoria di Darwin facendo di fatto dell’”Uomo” una realtà separata dagli “animali”. (L’uso delle virgolette nel periodo precedente segnala l’inadeguatezza di termini abituali che sono però frutto di una tradizione culturale da superare: le parole sono lo specchio del nostro modo di creare e interpretare la realtà).

Si tratta ormai di mettere in discussione il concetto stesso di specie in quanto esso implica una  gerarchizzazione che fa dell’oggettiva  differenza  biologica fra gli animali un criterio discriminatorio, in base alla loro maggiore o minore distanza dall’essere umano, le cui caratteristiche vengono elevate arbitrariamente a unità di misura oggettiva.

L’antispecismo sviluppatosi a partire da questi presupposti non è un movimento con caratteristiche omogenee ma le sue varie correnti hanno in comune il riconoscimento che a tutti gli  animali  sono portatori di diritti, prima di tutto quello  di condurre un’esistenza  dignitosa e conforme alla propria natura.

L’antispecismo che semplificando definiremo riformista e gradualista, punta in sostanza innanzitutto a porre le basi per un miglioramento della condizione degli animali non umani mentre altre correnti più radicali teorizzano la necessità di perseguire, anche con forme di lotta molto dure, la totale e immediata liberazione di tutti gli i animali da qualsiasi forma di oppressione. “Il razzista viola il principio di eguaglianza attribuendo maggior importanza ai membri della sua razza (…). Il sessista viola il principio di eguaglianza favorendo gli interessi del proprio sesso. Analogamente lo specista permette che gli interessi della sua specie prevalgano su interessi superiori dei membri di altre specie. Lo schema è lo stesso in ciascun caso ” Sulla base di questa analisi portata già avanti negli anni ’70 da Peter Singer, un altro dei pionieri della teoria e della pratica antispecista.  Il cosiddetto antispecismo politico  non si limita a denunciare le varie forme di oppressione animale ma considera  le proprie lotte come parte di tutte le lotte di liberazione sociali  e politiche; se infatti  le varie forme di oppressione sono fra di loro collegate, tale legame deve essere proprio anche delle lotte per liberarsene.

Si possono condividere o meno le teorie antispeciste nelle loro varie sfumature ma non si possono eludere le tematiche che esse evidenziano; considerare gli animali non umani come puri strumenti al servizio degli esseri umani non è solo un pregiudizio antiscientifico ma la base di un consolidato modello economico-sociale profondamente distruttivo e alla fine nocivo anche per la sopravvivenza degli esseri umani.

Il riconoscimento dei diritti fondamentali di tutti gli animali sarà dunque un passaggio imprescindibile della liberazione umana. Parafrasando un noto slogan femminista non è possibile nessuna liberazione umana senza liberazione degli altri animali e viceversa.

Quelle che appaiono, per dirla con Freud, dolorose ferite del narcisismo umano, risultano in  realtà  percorsi necessari per realizzare un’umanità compiuta.

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