Per architettura ostile o architettura difensiva si intende un’organizzazione degli spazi pubblici con lo scopo dichiarato di impedire comportamenti vandalistici o ritenuti tali da minacciare la sicurezza pubblica e il cosiddetto decoro urbano, soprattutto delle zone centrali o residenziali delle città; per quanto rispondano a esigenze di per sé sostanzialmente legittime le misure che ne derivano finiscono per colpire ed emarginare, talvolta anche in modo vessatorio, soprattutto chi non ha una fissa dimora .
Il disagio viene così spesso trasferito semplicemente in altre zone della città, senza affrontare alla radice e risolvere i problemi che lo generano.
Determinati provvedimenti finiscono per colpire anche le persone anziane o gruppi giovanili che trovano nella strada un luogo di aggregazione.
La difesa del “decoro urbano” ha anche lo scopo non troppo recondito di salvaguardare il valore immobiliare di determinate zone delle città.
Il fenomeno riguarda città poste a diverse latitudini e consiste in espedienti quali gli spuntoni “anti senzatetto” posti in superfici piane, l’eliminazione delle panchine o la progettazione e collocazione di panchine con braccioli rigidi o comunque scomode, o addirittura l’utilizzo di irrigatori con lo scopo di dissuadere dallo sdraiarsi in luoghi pubblici.
Per citare alcuni esempi italiani a Parma alle sedute poste in Piazza Ghiaia sono state aggiunte strutture metalliche che le trasformano in fioriere e ne rendono difficile l’utilizzo. In altri casi l’abolizione delle panchine e la loro sostituzione con rastrelliere per biciclette ha dato a questa forma di architettura ostile una coloritura ecologica.
A questa sottrazione di spazi pubblici a determinati soggetti sociali, fatta in modo solo apparentemente oggettivo, si accompagna spesso una loro appropriazione a fini prevalentemente commerciali.
Durante il periodo del Covid fu concessa, non solo in Italia, un’ampia utilizzazione di spazi all’aperto a gestori di locali pubblici per consentire loro di mantenere il più possibile le loro attività in condizioni di relativa sicurezza per la salute degli utenti.
Come spesso avviene questa situazione provvisoria è divenuta permanente e oggi, complici anche i cambiamenti climatici, si assiste al continuo espandersi di questa privatizzazione di spazi pubblici, anche laddove questo crea pericoli o intralci per i passanti. Le principali stazioni ferroviarie europee sono ormai trasformate in veri e propri centri commerciali e l’organizzazione degli spazi al loro interno e nelle loro immediate adiacenze è rivolta a incentivare i consumi anche a costo di eliminare luoghi inclusivi e accoglienti per tutte le persone.
In tal modo chiunque voglia godere di un momento di relax è costretto a sedersi al tavolino di un locale e ordinare una consumazione, al di là dell’estro del momento e delle condizioni del proprio portafoglio.
Più comprensibili appaiono una serie di accorgimenti che tendono ad allontanare spacciatori e consumatori da determinate zone della città. A Cardiff alcuni negozi hanno sperimentato l’uso di suoni ad alta frequenza per tenere lontani gli spacciatori dalle adiacenze delle loro attività mentre in Olanda ma anche in Svizzera nei bagni pubblici e in quelli di alcuni locali particolari luci blu rendono più difficile l’individuazione della vena ai tossicodipendenti; anche in questo caso la legittima esigenza di tenere lontane attività indesiderate, si traduce spesso nel loro trasferimento in zone della città “meno rispettabili”, aggravandone il degrado.
Queste risposte discriminatorie dell’organizzazione di spazi pubblici non deve nascondere l’esistenza di problemi reali di diversa natura per cui bisogna progettare soluzioni diversificate. I problemi legati all’uso e allo spaccio di droga sono particolarmente complessi e vanno ben al di là di semplici accorgimenti di organizzazioni degli spazi.
La sicurezza e la possibilità di vivere in modo sereno sono un’esigenza legittima di tutte le persone e di tutte le zone della città e non si possono risolvere semplicemente rimuovendo o spostando le situazioni di disagio.
Per affrontare il problema in modo più incisivo è necessario coinvolgere tutta la cittadinanza, fin dal momento della progettazione, nelle scelte urbanistiche che riguardano gli spazi esterni comuni in modo che vengano prese in considerazione gli interessi di tutti i soggetti sociali; tale coinvolgimento deve riguardare anche la successiva salvaguardia e la cura di tali spazi urbani. Si potrebbe in tal modo mettere in atto un controllo sociale che tenti di prevenire comportamenti lesivi della sicurezza e della tranquillità collettive, senza escludere ovviamente interventi repressivi talvolta inevitabili.