Barbara Moraglia Fisera: l’amica sconfinata

Conobbi Barbara circa dieci anni fa quando, neoassunta nell’azienda presso cui lavoro, partecipò, insieme ad altri colleghi appena arrivati, al mio corso di formazione sulla sicurezza. Giunto al momento di spiegare la risposta alle emergenze, chiesi ai colleghi, come faccio sempre, se avevano qualche esperienza da condividere. Barbara raccontò di un (falso) allarme quando lavorava a Milano: era dicembre, i dipendenti avevano appena ricevuto il pacco natalizio, e alcuni di essi, presi dal panico, si precipitarono in strada portando il pacco con sé. Questa nuova collega, con un intervento di poche parole, aveva descritto esattamente cosa si prova in una situazione di emergenza e come, talvolta, invece delle procedure si segue l’istinto. Aveva messo in evidenza, molto semplicemente, quanto sia importante la preparazione, nella gestione delle emergenze. Non potevo che essere attratto da una persona così, dovevo conoscerla meglio, dovevo saperne di più. Cominciammo a chiacchierare, e poi a incontrarci, assieme ad altri colleghi italiani, per pranzo. La nostra amicizia cominciò così, scoprendo che avevamo tante cose in comune, prima fra tutte l’amore per il continente africano. Barbara qualche anno fa ha cambiato azienda, ma la nostra amicizia non si è conclusa. Ci trovavamo, prima della pandemia (e speriamo di rifarlo presto), a Zurigo, per andare a mangiare nei ristoranti etnici, in compagnia di Tomas, il marito di Barbara, e degli altri amici che ci volevano seguire. E, quando nessuno aveva tempo di seguirci, ci andavamo da soli. Superfluo precisare che i nostri ristoranti preferiti sono l’ugandese, l’eritreo, il nigeriano… Oggi ho l’onore di raccontarvi la storia di questa mia cara amica, che è assolutamente fuori dall’ordinario.

Barbara nacque nel 1976, in Kenya; i genitori, entrambi liguri, si erano infatti trasferiti nel paese africano perché il papà aveva accettato un lavoro al casinò di Nairobi. Il giorno in cui Barbara nacque il cielo era piovoso, e questo fu interpretato come un buon segno dalle infermiere; l’acqua, si sa, è un bene preziosissimo per quasi tutto il continente africano. L’infanzia di Barbara fu bellissima, “sconfinata”, come ama dire lei. La sua tata Jenny le insegnò l’inglese, e mille altre cose. I suoi giocattoli erano le foglie, i fiori e… Il fango! Barbara si divertiva a preparare torte di fango. I suoi genitori le dicevano sempre che non era importante sporcarsi le mani o i vestiti, ma giocare ed essere felici. A tre anni e mezzo, la vita fece a Barbara e ai suoi genitori un bellissimo regalo: l’arrivo del fratellino Marco. Da neonato Marco si ammalò di polmonite, ma il dottor Kungu lo salvò. Sebbene Barbara fosse ancora piccolissima, ricorda quei momenti come se fosse ora. Marco e Barbara diventarono subito complici: portavano a casa tantissimi animaletti, dagli uccellini caduti dal nido ai camaleonti, per la gioia di mamma Moraglia. Nel giardino di casa si allevavano galline, tartarughe, e ogni tanto passavano le scimmie a rubare i panini.

Barbara bambina

I primi amichetti di Barbara e Marco furono Moi e Otri, vicini di casa. Mentre la famiglia Moraglia abitava in un grande complesso di villette e appartamenti, i genitori di Moi e Otri, che lavoravano come addetti alle pulizie del casinò, vivevano in un appartamento piccolissimo, con il bagno in comune con altre famiglie. Barbara ricorda ancora adesso la prima volta che fu invitata a pranzo dai suoi amichetti: le servirono un piatto di polenta bianca con uno spezzatino di verdure, che si mangiava con le mani. C’era un unico pezzetto di carne in quello stufato, che veniva mangiato da un unico membro della famiglia, a turno. Quel giorno toccava al padre. Alla fine del pranzo, Barbara chiese di andare in bagno, e scoprì la triste realtà: il bagno era in comune con altre famiglie, si trattava da un bagno alla turca, non c’era la carta igienica ma fogli di giornale meticolosamente tagliati in piccole strisce. Fu quella la prima volta in cui Barbara si sentì una privilegiata, e ne provò vergogna.

Barbara con Moi (primo da destra) e Otri (terza da destra)

La vita in Kenya era semplice, sempre a contatto con la natura, ma allo stesso tempo era poco libera: non era permesso ai bambini di uscire da soli, la madre li portava a scuola ogni mattino e il pomeriggio li andava a riprendere, occasionalmente andavano a far visita agli altri amichetti. Barbara e Marco frequentavano la scuola italiana, che partiva dalla scuola materna fino alla seconda liceo, in totale non c’erano più di cento alunni. A scuola c’erano figli di diplomatici, di ingegneri impegnati in progetti, di insegnanti, di medici… Le mamme si impegnavano a preparare le merende da portare a scuola, e la mamma di Barbara era esperta in torte e crostate prelibate… Che la figlia di tanto in tanto scambiava per un panino con la nutella, bene introvabile che solo i figli dei diplomatici riuscivano ad avere, grazie ai corrieri dell’ambasciata italiana.

Barbara, la madre, e… Un amico speciale

Durante l’adolescenza, arrivò il momento di trasferirsi in Italia, per continuare la scuola. Barbara arrivò così a Sanremo, dove viveva la nonna. Lo shock culturale fu enorme: le mancavano gli amici, la natura, i paesaggi, i colori, i sapori, i profumi… Ma in Italia Barbara scoprì la libertà. Imparò a essere indipendente, poteva uscire da sola, andare al mare, girare per negozi, a scuola finalmente non doveva essere accompagnata; con il suo motorino, uno Ciao, andava dove voleva.

Finita la scuola superiore, Barbara si trasferì a Milano, per frequentare l’università. Oltre a studiare, Barbara lavorava per mantenersi agli studi. Dopo tanti lavoretti tramite l’agenzia di lavoro interinale Adecco, Barbara approdò alla MTV, in centro a Milano, in piazza San Babila. Aveva ottenuto un lavoro come assistente di direzione. Il suo capo era Antonio Campo Dall’Orto, che Barbara definisce come “la persona più brillante che mi sia capitato di conoscere”. Oltre al capo, Barbara ricorda con affetto i colleghi, che erano innovativi, visionari, instancabili, ma soprattutto amici. Milano rappresentò per Barbara un caleidoscopio di esperienze e opportunità: concerti, moda, fiere… E’ a Milano che Barbara diventa adulta.

E proprio a Milano Barbara incontrò Tomas. Era giugno del 2010, Barbara aveva finito di lavorare e non aveva voglia di tornare subito a casa. Si fermò in uno dei suoi locali preferiti vicino alla stazione centrale, il Rock’n’Roll. Era mercoledì, serata libera per i musicisti di esibirsi in una jam session. Barbara ordinò una cena leggera e, mentre chiacchierava con un’amica, vide Tomas, uno dei manager di una rock band svizzera molto conosciuta. Tomas si presentò al tavolo delle due ragazze, affascinando Barbara. Da lì continue telefonate e incontri fecero innamorare Barbara, che si rese conto immediatamente che Tomas era la sua vita. Un anno dopo, sebbene Barbara avesse un lavoro che amava, e avesse appena comprato un appartamentino alla periferia di Milano, decise di lasciare tutto e trasferirsi in Svizzera per vivere con Tomas, il suo mondo. In sella alla sua moto, una Kawasaki ZR7, attraversò il tunnel del Gottardo, lasciando il sole del Ticino e sbucando in una fredda e nuvolosa Goeschen, per poi arrivare a Zurigo.

Barbara e Tomas il giorno del matrimonio

Barbara non si sente di appartenere al Kenya, all’Italia, e nemmeno alla Svizzera, pur essendo immensamente grata a tutti e tre questi Paesi. Si sente, appunto, sconfinata. Sconfinata e felice di vivere con il suo mondo, Tomas.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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