Termine introdotto a partire dal linguaggio politico per indicare inizialmente un atteggiamento di apertura e benevolenza nei confronti di un avversario politico.
Nell’uso politico quotidiano a questo atteggiamento di tolleranza è stato sempre più attribuita una sfumatura di ipocrita ostentazione.
Questa degenerazione semantica ha continuato il suo tragitto e alla fine sono stati definiti buonisti tutti coloro che manifestano atteggiamenti di umana solidarietà in particolare verso gli immigrati o più ingenerale reclamano il rispetto universale dei diritti umani.
Il fenomeno non è solo italiano se è vero che nel 2015, quando la Germania aprì momentaneamente le porte a oltre un milione di migranti, i denigratori di questa apertura coniarono con sprezzante ironia il termine Gutmensch per esprimere lo stesso concetto di buonista.
Un’associazione di linguisti tedeschi definì a buon diritto Gutmensch, in questa particolare accezione xenofoba, peggiore parola dell’anno.
Verrebbe la tentazione di abolire questo termine dal proprio vocabolario ma forse non vale la pena di darla vinta a certi signori.
Se esercitare il buonismo vuol dire stare dalla parte dei diritti umani chi è additato come buonista forse può fregiarsene come di un titolo onorifico, disarmando in tal modo la carica negativa che si vuole attribuire alla parola.