C’è un’oasi di pace in Israele

Oasi di pace (Neve Shalom in ebraico e Wahat as-Salam in arabo) è il nome di un villaggio israeliano con caratteristiche molto particolari, ben sintetizzate dal suo nome.

Si tratta di un piccolo villaggio fondato nel 1972 da Bruno Hasar, un frate domenicano figlio di ebrei non praticanti, situato a ovest di Gerusalemme sul terreno di un monastero trappista di circa 40 ettari; qui ha preso corpo un progetto di convivenza fra ebrei e palestinesi, tutti cittadini israeliani. Attualmente vi vivono un centinaio di famiglie, mentre altre progettano di costruirvi la loro casa. Il villaggio mantiene la propria assoluta autonomia politica, è gestito in modo democratico e dispone di una serie di strutture educative e culturali frequentate e gestite in modo paritario dalle due comunità: asilo nido, scuola materna ed elementare, la Scuola per la Pace, la Casa del Silenzio e Il Centro spirituale pluralistico.

L’educazione e l’insegnamento scolastico e prescolastico, impartiti da insegnanti ebrei e arabi, si svolgono sia in arabo che in ebraico nel rispetto della cultura, delle tradizioni e della religione di ognuno. Queste istituzioni educative accolgono attualmente 183 bambini, per due terzi provenienti da villaggi vicini, il cui numero  è destinato a crescere con il previsto ampliamento degli edifici già esistenti. Sia la scuola materna che quella elementare hanno ottenuto il riconoscimento del Ministero israeliano dell’Educazione, proponendosi come modello, già in parte realizzato, per altre istituzioni che si trovano soprattutto in zone con popolazione mista e, più in generale, come progetto in grado di influenzare le pratiche educative vigenti in tutto il Paese.

La scuola per la Pace prevede una serie di iniziative (seminari, campi estivi, corsi di formazione ecc.)  intese a far conoscere e a espandere il più possibile l’esperienza del villaggio nella prospettiva di contribuire alla creazione di una cultura del confronto per il superamento dei conflitti anche al di fuori dei confini del villaggio.

La Casa del Silenzio è concepita come luogo di riflessione, di meditazione e di preghiera aperto a tutti, indipendentemente dalle loro convinzioni etiche e religiose. La casa organizza incontri di riflessione sull’incidenza delle convinzioni etiche e spirituali sui processi di pace e su quelli educativi.

Il Centro Spirituale pluralistico svolge un lavoro di ricerca a carattere interreligioso, con l’intento di individuare punti di contatto fra le varie religioni.

Nel villaggio esiste anche un hotel dove trovano alloggio coloro che vogliono conoscere la realtà del villaggio o partecipare alle varie iniziative culturali ed educative o farne la base per visitare Israele.

L’originale esperienza del villaggio è stata raccontata due anni fa nel film Children of Peace, che   illustra la storia del villaggio fin dalla sua fondazione, basandosi anche su testimonianze di esponenti della prima generazione di persone che vi sono nate e cresciute e che dunque ne hanno vissuto in prima persona la realtà educativa e scolastica, fino al termine della scuola   elementare. Fra questi testimoni diretti c’è anche il regista Maayan Schwartz, il cui racconto non nasconde le difficoltà e le contraddizioni del progetto.

A questo proposito emergono in modo particolare i problemi dei bambini che, terminata la scuola elementare, hanno dovuto continuare il loro percorso scolastico al di fuori del villaggio dove vige un insegnamento separato per ebrei e palestinesi. Abituati a una formazione basata, come abbiamo visto, su principi di eguaglianza, tolleranza e bilinguismo, i giovani studenti si sono trovati, non senza tensioni, di fronte a una realtà completamente diversa e ad atteggiamenti non sempre benevoli nei loro confronti; il loro diverso approccio rispetto alla realtà composita e conflittuale della società israeliana è stato talvolta interpretato come un tradimento dell’una o dell’altra comunità.

 Ma il momento più critico anche sul piano dei rapporti personali è arrivato quando i giovani hanno raggiunto l’età del servizio militare, riservato nel regime di discriminazione che caratterizza la realtà israeliana, ai giovani ebrei di ambo i sessi.

Qualcuno di loro si è posto il problema di rifiutare il servizio con la prospettiva di una condanna a pene detentive, molti hanno invece deciso di affrontarlo, trovandosi a fare i conti con l’incomprensione e la paura dei propri coetanei arabi che hanno visto, non a torto, nell’esercito israeliano, uno strumento di repressione e di violenza nei confronti della   comunità palestinese.

 Lo stesso regista, una volta arruolato, ha dovuto subire da un amico l’accusa di tradimento per aver compiuto una scelta in contrasto con  gli ideali ispiratori di Oasi di pace.

Un momento particolarmente drammatico si è verificato con la morte del ventunenne Tom Kitain, caduto durante un’operazione militare in Libano.

Il lutto nel villaggio per questa morte è stato unanime ma quando è stata avanzata la proposta di erigere un monumento in sua memoria, l’opposizione dei palestinesi è stata insormontabile.

 Maayan Schwartz, in un’intervista rilasciata per il periodico di Amnesty International rileva la situazione drammatica che si è creata anche all’interno del villaggio dopo l’eccidio del 7 ottobre 2023 e gli eventi successivi. Nonostante questo gli abitanti di Oasi di pace cercano di mantenere aperto l’ascolto e il dialogo, nella convinzione che  il tentativo d di  superare le profonde divisioni può avere successo solo se si crea un clima di comprensione reciproca che richiederà tempo e tenacia.

In un momento così buio si tratta di una speranza necessaria non solo per gli abitanti di quella tormentata regione ma per tutti noi.

Un raggio di speranza che prendiamo come augurio per il nuovo anno  anche  per chi segue l’avventura di questo blog

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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