Bambino svizzero: “Mamma, come nascono i bambini?” Mamma svizzera: “Dipende dai cantoni.”
Questa barzelletta, che tutti in Svizzera conoscono, (ebbene sì, anche gli svizzeri sanno essere spiritosi e autoironici!) potrebbe benissimo essere applicata alle molteplici modalità dell’acquisizione della cittadinanza da parte dei cittadini stranieri, che varia a seconda dei cantoni ma anche dei comuni.
Questa molteplicità è riferita non solo agli aspetti tecnici e burocratici di tale acquisizione ma anche al fatto che in certe località essa viene facilitata mentre in altre risulta al contrario problematica.
La Città di Zurigo, ad esempio, incoraggia chi vuole acquisire la cittadinanza molto più di alcuni comuni dello stesso steso cantone e le statistiche mostrano chiaramente le differenze anche fra un cantone e l’altro.
La cittadinanza non si ottiene mai automaticamente ma attraverso una complessa procedura che lascia spazio alla discrezionalità delle amministrazioni preposte a concederla.
Supponiamo dunque che Il Signor e la Signora Rossi, che vivono e lavorano a Zurigo, ricevano una lettera dell’Amministrazione cittadina con cui vengono informati che, avendo vissuto con regolare permesso di soggiorno per almeno dieci anni in Svizzera, di cui almeno gli ultimi due a Zurigo, hanno i requisiti per inoltrare la richiesta di naturalizzazione ordinaria.
I due si armano dunque di buona volontà e iniziano il lungo e dispendioso iter per procurarsi tutti i documenti necessari e iniziare la procedura. Dopo un paio di mesi il loro impegno viene premiato e tutta la documentazione è pronta per essere inviata insieme a due questionari compilati personalmente da ciascun richiedente; nel primo di essi vengono richiesti dati personali estremamente dettagliati mentre nell’altro ciascuno deve spiegare le motivazioni personali della richiesta di cittadinanza e dimostrare concretamente il proprio livello di integrazione.
I coniugi Rossi possono documentare il loro matrimonio, la loro condizione di autosufficienza economica (anche in Svizzera non essere poveri aiuta!), di non aver commesso reati né contratto debiti e di aver pagato regolarmente le imposte.
È richiesta anche una conoscenza di base del tedesco standard e non del dialetto locale, fatto questo che fa tirare un sospiro di sollievo al Signor Rossi che, a differenza della moglie, impegnata maggiormente nelle piccole incombenze quotidiane, non se la cava un granché con l’idioma locale: lui dice naturalmente di prediligere l’armoniosa lingua di Goethe ma è solo una scusa per dare una veste elegante alla sua ignoranza linguistica.
Ora non resta che attendere pazientemente gli eventi come del resto l’Amministrazione caldamente raccomanda: l’esercizio della pazienza, del resto, sembra essere un requisito essenziale per diventare cittadini svizzeri.
Dopo un paio di mesi il Cantone comunica di aver espletato con esito positivo un esame preliminare del dossier e di averlo inviato all’Amministrazione cittadina.
Si tratta intano di pagare un’imposta comunale di 1200 franchi ciascuno e di attendere la convocazione per il colloquio che arriva dopo sei mesi, insieme a un libretto del Comune della serie “tutto quello che devi sapere per prendere la cittadinanza svizzera a Zurigo”. La pubblicazione è ben fatta e i due si mettono a studiare di buon grado e apprendono o approfondiscono una serie di nozioni che spaziano dalla storia svizzera al funzionamento delle principali istituzioni del paese, dalla leggenda di Guglielmo Tell alla preparazione della raclette, dai principali monumenti di Zurigo ai luoghi di divertimento e al funzionamento dei mezzi pubblici. Ora sono pronti e “carichi” per il colloquio: se non riusciranno a superarlo potranno sempre proporsi come guide turistiche!
Si recano dunque nel giorno stabilito nella sede del Comune per il tanto atteso e temuto colloquio che si risolve, in realtà, in una chiacchierata con alcuni funzionari che pongono domande anche impegnative ma mostrano pazienza e comprensione per qualche piccola défaillance dovuta più a emozione che a impreparazione
I coniugi Rossi possono considerarsi fortunati perché corre voce (forse si tratta, almeno in parte, di leggende metropolitane) che in molti comuni vengano poste domande molto più nozionistiche e localistiche e si rischi di essere bocciati magari perché non si conoscono tutti i nomi delle locande del luogo di residenza, come assicura il poco autorevole 20 Minuten.
Dopo qualche giorno, a casa Rossi arriva una gradita telefonata che sancisce il brillante esito del colloquio per entrambi; ora possono considerarsi cittadini di Zurigo, fermo restando un ulteriore accertamento del Cantone e della Segreteria di Stato della Migrazione, previo pagamento di altre imposte di minore importo rispetto alla precedente.
Dopo qualche altro mese arriva la notizia che i coniugi Rossi, non costituendo un pericolo per la sicurezza nazionale, sono a pieno titolo nell’ordine cittadini del Comune di Zurigo, del Cantone e della Confederazione. Festa grossa in casa Rossi e come ciliegina sulla torta Mario e Luisa Rossi possono ritirare, dopo poco tempo, il tanto sospirato passaporto rosso.
L’intera procedura è durata un anno e mezzo ed è costata circa duemila franchi ciascuno ma ne valeva la pena: la cittadinanza non solo favorirà la vita quotidiana e lavorativa dei due coniugi ma consentirà loro di partecipare alla vita politica di quello che ormai è anche il loro paese.
Italia e Svizzera, a differenze di altri paesi anche europei, consentono la doppia cittadinanza e questo permette agli italo-svizzeri di poter conservare in pieno la loro identità complessa.
L’unico problema identitario si porrà quando, come il prossimo 16 giugno, scenderanno in campo le nazionali di calcio dell’Italia e della Svizzera in una lotta all’ultimo sangue…sportivo.
I due coniugi godranno (o magari soffriranno) lo spettacolo rigorosamente a casa loro e, qualunque sia il risultato di questa lotta “fratricida”, potranno sempre dire che la loro squadra ha vinto.