Democratura

 

 

Termine la cui creazione viene generalmente attribuita allo scrittore uruguayano Edoardo Galeano.

Formato dalla crasi fra le parole “democrazia “e “dittatura”, tende a indicare quei sistemi politici che contengono un involucro formale di democrazia e una sostanza autoritaria. Galeano utilizzava il termine per descrivere determinate realtà di Paesi dell’America Latina degli

anni ’50 e ‘60, apparentemente incapaci di dotarsi di un compiuto sistema democratico

Il termine è tornato in auge in epoca più recente per descrivere realtà politiche di Paesi come la Turchia o la Russia dove, con percorsi diversi, si sono consolidati regimi che possono rispondere alla definizione citata.

Il concetto può essere declinato, senza alterarne la sostanza, con sinonimi quali “democrazia ristretta” o “dittatura costituzionale” o con il fantasioso ossimoro   di “democrazia illiberale” coniato dal premier ungherese Orban, che di restrizioni della democrazia se ne intende, come le cronache di questi giorni documentano ampiamente,.

Se la realtà per le quali si può in qualche modo parlare  di democratura sono diverse fra loro, si possono tuttavia cogliere alcuni caratteri comuni.
La  scrittrice turca  Ece Temelkuran, in un suo  saggio tradotto anche in italiano, partendo dall’esperienza del suo Paese, da cui è stata costretta a fuggire, analizza le fasi e  i processi attraverso cui i   “populismi di destra” corrodono dall’interno strutture politiche e sociali  a vario livello democratiche per costruire, sotto la guida carismatica di un capo,   regimi autoritari se non apertamente dittatoriali. https://www.bollatiboringhieri.it/libri/ece-temelkuran-come-sfasciare-un-paese-in-sette-mosse-9788833931968/

Lo stesso svolgimento delle elezioni, in realtà sempre meno libere, finisce per diventare semplicemente un rito plebiscitario per celebrare la grandezza del capo di turno e legittimarne lo strapotere.

Quindi Temelkuran, che non usa il termine democratura ma fa riferimento alla sostanza del concetto, mette in rilievo come si tratti spesso di un processo degenerativo da cui neppure le democrazie apparentemente più solide possono ritenersi indenni.

“Dunque, cosa possiamo fare per voi?”

Questa domanda le fu rivolta   nel corso di una conferenza tenuta a Londra nel settembre del 2016 in cui la scrittrice turca   aveva denunciato l’involuzione politica in atto nel suo Paese   dopo il fallito colpo di stato di due mesi prima.

“In realtà che cosa posso fare io per voi” rispose Temelkuran, ravvisando immediatamente nella   domanda la mancanza di comprensione del carattere globale della minaccia alla democrazia che era appena sfociata nel referendum sulla Brexit e di lì a poco si sarebbe concretizzata nell’elezione di Trump, tutti eventi ritenuti impossibili e le cui nefaste conseguenze si sarebbero presto manifestate in tutta la loro ampiezza.

 La denuncia di Temelkuran   è perciò un grido di dolore, di lotta e di protesta per la sua Turchia oppressa ma al tempo stesso un avvertimento per chi si illude di essere al sicuro dal pericolo di discendere la stessa china antidemocratica.

In effetti dall’ Inghilterra della Brexit, agli Usa di Trump, alle realtà dei vari Paesi europei è evidente la presenza di forze e movimenti di massa che si prefiggono apertamente la progressiva distruzione della democrazia corrodendola dall’interno e arrivando sempre più spesso al governo dei rispettivi Paesi.

Il fenomeno minaccia anche i fondamenti stessi dell’Unione Europea    anche per il ritardo mostrato dalle istituzioni comunitarie a reagire efficacemente e tempestivamente; il  governopolacco e  quello ungherese  hanno infatti  approvato una serie di provvedimenti  in aperto contrasto con  principi di democrazia e di rispetto dei diritti che  dovrebbero essere alla base della costruzione dell’edificio europeo.

Il 15 settembre scorso il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza una risoluzione di condanna di aspetti essenziali dell’attuale sistema politico ungherese   definito un “regime ibrido di autocrazia elettorale” e denunciando in particolare   una “situazione inquietante” per quanto riguarda l’indipendenza della magistratura, la corruzione, il rispetto dei diritti delle minoranze e dei migranti, la libertà di espressione e lo stesso sistema elettorale

I deputati di Fratelli d’Italia e della Lega, in accordo con i gruppi parlamentari europei di appartenenza, hanno votato contro la mozione giudicando le accuse non sufficientemente circostanziate e sostenendo che in tal modo il Parlamento europeo metterebbe in discussione l’operato di un governo democraticamente eletto.

Quest’ultima osservazione giustificherebbe in un certo senso una sorta di “dittatura della maggioranza” per cui un governo in carica in seguito a elezioni, almeno in apparenza democratiche, avrebbe poi il diritto di calpestare i principi democratici e i diritti delle minoranze.

La mozione sollecita la Commissione a prendere finalmente provvedimenti che potrebbero arrivare fino al taglio dei fondi europei qualora il governo ungherese non si mostrasse pronto a ripristinare in pieno i principi democratici violati. Anche se difficilmente la Commissione avrà la forza politica per arrivare davvero a sanzionare il governo ungherese, la mozione approvata dal Parlamento europeo ha un valore politico importante e sembra essere un monito anche per Paesi come la Svezia e l’Italia dove forze con impostazioni politico-ideologiche palesemente vicine a quelle di Orban si accingono a rivestire ruoli di governo.

Può darsi che, come ritengono forse troppo ottimisticamente alcuni osservatori, la democrazia alle nostre latitudini non sia in pericolo ma l’esperienza di altre realtà ci invita tutti a reagire ai primi sintomi di quella malattia infettiva che sembra essere la nascita e lo sviluppo di una democratura.

Temelkuran ci fa riflettere sul fatto che l’attacco alla democrazia non avviene più in genere con le modalità di un violento colpo di stato ma si insinua come un veleno sapientemente dosato a cui non ci dobbiamo assolutamente assuefare.

E le esperienze che stiamo vivendo ci mostrano oltretutto che difendere la democrazia significa anche salvaguardare la pace.

 

 

 

 

 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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