Da sempre Medea abita nel mito. Era figlia di Eete, re della Colchide. Il regno dei Colchi si trovava sulle rive del Mar Nero, nell’attuale Georgia occidentale, fino al 1991 parte dell’Unione Sovietica ed oggi indipendente. Era sul confine tra Europa ed Asia, ma al tempo dei Greci e dei loro miti era al di là dei confini che definivano il mondo, quello loro.
Una tradizione dice che qui nacque “il vino folle, che fa cantare anche l’uomo più saggio, e lo fa ridere mollemente e lo costringe a danzare, e tira fuori parola, che sta meglio non detta” (Odissea, libro XIV).
Altre storie vogliono Medea figlia della maga Circe, “dai riccioli belli, dea tremenda con voce umana” (Odissea, X, 135-6), che secondo Omero viveva in un’isola a oriente e non sul promontorio laziale che da lei prende il nome.
Dobbiamo immaginare Medea che s’innamora follemente di Giasone, giunto nella Colchide con agli Argonauti alla ricerca del vello d’oro. Medea tradì il padre e fece a pezzi il fratello per aiutare Giasone nella sua impresa, lui che poi Dante avrebbe collocato nell’inferno fra “ruffiani e ingannatori e lusinghieri”.
Dobbiamo immaginare Medea che giunge straniera a Iolco. Qui con l’inganno e le sue arti magiche fa uccidere il re Pelia dalle sue stesse figlie che aveva usurpato il trono del marito.
Dobbiamo immaginare Medea che fugge ancora con Giasone e i figli, e giunge a Corinto. Qui Giasone s’innamora della giovane figlia del re Creonte e ripudia Medea, abbandonandola con i suoi figli.
Il tragico Euripide, nell’omonimo dramma, ci racconta Giasone che cerca di convincere Medea che quell’abbandono e quel nuovo matrimonio con Glauce sia utile per tutti loro, esuli in terra straniera.
Dobbiamo infine immaginare Medea che con le sue magiche arti uccide Glauce e Creonte in un furente impeto di vendetta che la porta a straziare i suoi propri figli avuti da Giasone.
Quella di Medea è storia di sconfinamenti, dove mythos e logos sconfinano l’uno nell’altro, dove oriente e occidente si incontrano, s’innamorano, s’ingannano e si tradiscono, dove ragione e magia provano un dialogo che dialogo non è, dove amore e utilità si scontrano tentando un’improbabile emulsione culturale.
Questa storia è simbolo della difficoltà di due mondi altri ad integrarsi: quello apollineo d’occidente, luminoso, razionale e politico, e quello dionisiaco d’oriente, notturno, magico e selvaggio, attraverso i miti mirabilmente e nuovamente raccontati da Roberto Calasso ne Le nozze di Cadmo Armonia.
Come il racconto ci aiuta a danzare sul confine tra reale e fantastico, tra esistenza ed essenza, così l’epigrafe alla moderna rapsodia di Calasso, ci indica una chiave di comprensione e assimilazione: “queste cose non avvennero mai, ma sono sempre”.
Esse raccontano dell’inconciliabile scontro tra un mondo puro, primitivo, barbarico, dominato dall’irrazionalità rappresentato da Medea, e la dimensione di Giasone, infettata dal progresso, dall’ambizione e dal pragmatismo.
La penetrazione di Giasone nel mondo magico di Medea fu uno stupro culturale. Medea, come una misteriosa e disumana forza della Natura, è un disperato tentativo di riacquistare la propria dignità.

“Medea – disse Pasolini a proposito della sua Medea – è l’eroina di un mondo sottoproletario, arcaico, religioso. Giasone è invece l’eroe di un mondo razionale, laico, moderno. E il loro amore rappresenta il conflitto tra questi due mondi.”
Il lucido feroce e disperato furore di Medea è pure l’esantema di un umiliante senso di esclusione da un mondo che non le permette di integrarsi, come donna e come straniera.
Nel racconto Lagune (in Microcosmi, 1997), Claudio Magris, rievocando i luoghi della laguna di Grado dove Pasolini nel 1960 condusse per mano Maria Callas, vide Medea straniera ed emigrante, e Giasone astuto razionalista, ambedue incapaci di comprendere un mondo altro dal loro. Di qui le tragedie.
I pharmaka, le pozioni che curano e guariscono, possono essere solo l’educazione, la propensione e il piacere dello sconfinamento.