Due minuti a mezzanotte

Nel 1947 alcuni scienziati che avevano lavorato alle prime armi nucleari pensarono che fosse necessario creare uno strumento per rendere immediatamente percepibile all’opinione pubblica mondiale il pericolo costituito dall’invenzione e dalla possibile diffusione di questo nuovo terribile strumento di distruzione di massa.

Fu così ideato il Doomsday clock, l’orologio dell’apocalisse, curato e aggiornato dai redattori del Bullettin of the Atomic Scientists. Il cofondatore della rivista Hyman Goldsmith, che aveva preso parte al progetto di ricerca Manhattan, sfociato nell’ideazione delle prime bombe atomiche durante la Seconda guerra mondiale, scrisse   a suo tempo, insieme ad altri settanta scienziati, una lettera al presidente Truman scongiurandolo invano di non fare uso della micidiale arma.

Sulla base di alcuni indicatori riguardo ai pericoli che incombono sull’umanità, ogni anno, a gennaio, le lancette dell’orologio vengono regolate a seconda della maggiore o minore distanza dalla fatidica mezzanotte, metaforicamente indicata come l’ora della possibile ecatombe dell’umanità.

75 anni fa, quando l’orologio venne ideato, gli scienziati che ne curavano la realizzazione tenevano conto “solo” del pericolo costituito da un possibile conflitto nucleare; l’orologio indicava allora che mancavano sette minuti e mezzo alla mezzanotte.

Oggi vengono presi in considerazione altri fattori quali le minacce biologiche, la crisi climatica, una possibile utilizzazione perversa dell’intelligenza artificiale a cui si accompagna una crescente manipolazione dell’informazione.

Tutti questi fattori fanno sì che non siamo stati mai così vicini all’apocalisse come in questo momento. Da gennaio di quest’anno le lancette indicano che mancano cento secondi alla mezzanotte. Tenendo conto che nel frattempo, nel cuore dell’Europa, è scoppiato un nuovo conflitto, scatenato dalla seconda potenza atomica del mondo che non lesina la minaccia di ricorrere all’uso dell’atomica, si può ritenere perfino ottimistica la valutazione degli “scienziati orologiai”.

Oltretutto questa nuova minaccia si colloca nel contesto di una pandemia tutt’altro che superata.

Tornando alla minaccia atomica, la storia ci insegna che essa è più acuta nei momenti di forte tensione internazionale, quando è più facile che l’apocalisse atomica si scateni anche per errore.

Nel 1962, nel pieno della crisi per l’istallazione di missili sovietici a Cuba, il capitano  statunitense William Bassett riceve l’ordine di far partire quattro missili Cruise, ognuno con una testata sessanta volte superiore a quella sganciata a Hiroshima.  I suoi dubbi e il suo buonsenso lo inducono a formulare   richieste di chiarimenti al comando da cui è partito l’ordine, permettendogli   di accertare che si è trattato di un errore.

Sull’altro fronte, nel 1983, in un altro momento di grave tensione internazionale, Stanislav Petrov, tenente colonnello dell’esercito sovietico incaricato di monitorare i segnali provenienti dai satelliti sui movimenti degli armamenti statunitensi, vede sul suo schermo che cinque missili intercontinentali sono partiti da una base Usa per colpire l’Urss.

Petrov sa benissimo che in questo caso il suo dovere sarebbe quello di segnalare l’avvistamento ai superiori, mettendo in moto la procedura gerarchica che porterà alla rappresaglia atomica sovietica. Petrov, non convinto della segnalazione ricevuta, decide di interpretarla come un errore del satellite e non mette in moto il meccanismo della fine del mondo; indagini successive accerteranno che ciò che il satellite ha interpretato come un lancio di missili era solo l’abbaglio della luce solare   riflessa dalle nuvole.

Oggi molti meccanismi di controllo simili a quelli citati sono affidati a sistemi elettronici che nella loro asettica perfezione non si porrebbero i dubbi umani che ci hanno salvati nei due casi descritti.

I critici    dell’orologio dell’apocalisse sostengono che un grafico non ha mai cambiato il mondo e che in questo caso in particolare evocare continuamente l’idea della catastrofe finisce per creare assuefazione e per rendere inefficace l’allarme.

Queste critiche mi sembrano ingiustificate in quanto non è certo colpa di chi denuncia un pericolo così grande se la sua denuncia non si traduce in una presa di coscienza collettiva tale da indurre i responsabili politici a prendere provvedimenti conseguenti.

L’allarme lanciato dagli ideatori dell’orologio che paventano un’imminente ora X in cui la civiltà umana rischia di sparire dalla terra, soprattutto a causa di uno conflitto nucleare, è tremendamente serio e non va assolutamente sottovalutata.

Questo però non deve farci dimenticare la possibilità di “apocalissi parziali”, eventi apparentemente minori ma terribili e oltretutto in grado di fungere da detonatore di eventi ancora più catastrofici e definitivi.

Colpisce molto la disinvoltura con cui in questi giorni si parla della possibile utilizzazione bellica di armi atomiche tattiche, cioè “piccoli” ordigni atomici facilmente trasportabili e utilizzabili localmente, di potenza almeno pari a quello utilizzato dagli Usa a Hiroshima.

Mi pare che anche solo prendere in considerazione un’ipotesi  del genere sia un modo per sdoganare la possibilità dell’impiego delle armi atomiche; anche l’uso di queste “atomiche tascabili”, oltre a produrre sofferenze indicibili alle popolazioni colpite, potrebbe comunque in ogni caso innescare meccanismi di rappresaglie successive dalle conseguenze incalcolabili.

Di fronte a questo quadro complessivo così drammatico, l’unico modo per tentare di sfuggire a un’inevitabile sensazione di impotenza, è quello di essere costantemente operatori di pace nell’ambito del nostro limitato raggio di azione e di premere sui nostri governi perché si adoperino per costruire a livello internazionale concreti percorsi di pace, invece di continuare nell’attuale forsennata corsa agli armamenti

Il 26 settembre, in onore di Stanislav Petrov, l’Assemblea generale dell’Onu ha proclamato la Giornata internazionale pe l’eliminazione totale di tutte le armi atomiche, un obiettivo che oggi appare utopistico ma che è necessario perseguire, sia pure con la necessaria gradualità, se vogliamo evitare davvero che scocchi presto la mezzanotte dell’umanità.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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