Il 15 marzo del 2019 un suprematista bianco australiano si rese responsabile di una strage in una moschea in Nuova Zelanda, adducendo anche motivazioni ambientaliste a giustificazione del proprio gesto criminale.
Sarebbe sbagliato considerare come farneticazioni le idee “ambientaliste” del criminale australiano che in effetti ritroviamo nei proclami di analoghi gesti terroristici e nelle teorie di movimenti di estrema destra in tutto il mondo. Il pericolo di derive etniciste è frutto anche dei ritardi e delle inadeguatezze delle politiche sovranazionali che non si dimostrano all’altezza della sfida posta dalla crisi climatica.
Anche in Svizzera, ad esempio, dove il movimento ecologista è particolarmente radicato al punto da dare vita a due partiti verdi, il primo apertamente progressista, il secondo più conservatore, non mancano tendenze ambientaliste a carattere etnicista e xenofobo, presenti sia nel maggiore partito di destra che nel movimento Ecopop (Ecologia e Popolazione).
Nel 2012 Ecopop promosse un’iniziativa che proponeva una forte limitazione dell’immigrazione attribuendo all’eccessiva presenza di stranieri la responsabilità primaria della pressione ambientale in particolare sul suolo. L’iniziativa, inoltre, intendeva promuovere, con un’ispirazione marcatamente malthusiana, una drastica diminuzione degli aiuti svizzeri ai Paesi poveri in quanto, a giudizio dei promotori, tali sovvenzioni favorivano un incontrollato aumento demografico, individuato come problema centrale dell’umanità. L’iniziativa, fortunatamente respinta a larga maggioranza , rappresentava una sorta di manifesto della volontà di affrontare la crisi climatica rafforzando i privilegi dei ceti dominanti di uno dei Pasi più ricchi del mondo.
Definire in modo univoco che cosa sia l’ecofascismo non appare facile ma è possibile delineare alcune caratteristiche e matrici storiche comuni ai vari movimenti, seguendo uno schema di analisi analogo a quello utilizzato da Umberto Eco per il fascismo.
https://www.lanavediteseo.eu/item/il-fascismo-eterno/
In Germania la protezione dell’ambiente ha una tradizione secolare e non a caso proprio in questo Paese è stato coniato, nel lontano 1876, il termine ecologia; il nazismo riprese questa tradizione culturale con alcuni provvedimenti all’insegna del rafforzamento dell’ideologia del sangue e del suolo, dunque del nazionalismo e dell’etnicismo.
Considerazioni analoghe si possono fare a proposito del fascismo italiano, con una versione in salsa italica dell’ideologia del sangue e del suolo che non trascurava interventi invasivi nei confronti di una natura che si intendeva addomesticare più che rispettare.
Amitav Ghosh nel suo ultimo saggio denuncia che, alle origini del sistema produttivo responsabile in gran parte dell’attuale disastro ecologico, si colloca, prima ancora del capitalismo , il sistema coloniale basato su un’economia predatoria, origine degli enormi squilibri economici e delle devastazioni ambientali di oggi.
https://neripozza.it/libri/la-maledizione-della-noce-moscata
L’ideologia colonialista e neocolonialista influenza tuttora da un punto di vista ideologico, consciamente o meno, il pensiero occidentale anche in ambienti culturali insospettabili. Le organizzazioni ambientaliste più coscienti si sforzano di confrontarsi con questa tematica anche per la spinta esercitata in questi anni dal movimento Black Lives matter che ha fatto emergere anche in questi ambienti forme di paternalismo neocolonialista o addirittura di vero e proprio razzismo istituzionalizzato.
La giustizia climatica è l’unico antidoto possibile a derive reazionarie o al pericolo di esercitare una funzione cosmetica nei confronti dell’esistente.
I fautori della giustizia climatica, fra cui va annoverato anche papa Francesco, concepiscono la crisi climatica come un fenomeno complesso che impatta sull’ambiente e sulle esistenza di milioni di persone da cui si può uscire solo con una visione complessiva del problema da cui prendere spunto per soluzioni radicali; protagonisti delle profonde trasformazioni necessarie devono essere prima di tutto i soggetti sociali che sono in prima persona vittime dei cambiamenti climatici, pur essendone responsabili in minima parte.
Questa visione delle questioni ambientali mette al centro della lotta contro la crisi climatica le esigenze e i bisogni di chi ne è più colpito, costruisce a partire da questa base alleanze con movimenti ecosociali di tutto il mondo e pone in tal modo anche il presupposto di quella trasformazione culturale la cui necessità è stata in precedenza sottolineata.
Il fallimento di una prospettiva di giustizia climatica non produrrebbe il mantenimento dell’attuale statu quo già ampiamente traballante ma sarebbe il terreno di coltura del trionfo di tutti i possibili egoismi etnici e nazionali. Di fronte al deperimento delle risorse disponibili e in mancanza di nuovi modelli di sviluppo prevarrà inevitabilmente la logica del più forte in un mondo dominato da conflitti e dal continuo innalzamento di nuovi muri.
Non è un mistero che le principali potenze mondiali si stiano attrezzando per far fronte ai conflitti che la crisi climatica sta già provocando in una logica prevalentemente militare e all’insegna dell’affermazione dei propri interessi nazionalistici.
Questo sforzo militarista e nazionalista non deve prevalere sulla necessità di far fronte alla crisi climatica in un clima di cooperazione internazionale oggi del tutto insufficiente,
Insomma l’alternativa alla giustizia climatica è la barbarie già oggi teorizzata e preparata dagli ecofascisti di tutto il mondo