Eugenia Holovach e un’odissea chiamata “La 41”

Una luce che brilla così forte non può restare a lungo senza voce.

Holovach Ievheniia, 34 anni, conosciuta da tutti come Eugenia. 

Partita dall’Ucraina nel 2010, è arrivata in Italia che non sapeva neanche una parola di italiano.

Aveva vissuto principalmente in campagna. Le avevano detto che in Italia avrebbe potuto trovare lavoro solo come badante. Dopo tanti sacrifici, invece, è riuscita a realizzare il suo sogno a Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza).

Ciao Eugenia com’era la tua vita nel tuo paese d’origine?

Ho 34 anni e sono ucraina, figlia di genitori divorziati, sono cresciuta nel mio paese d’origine stando un po’ da una zia, un po’ dall’altra e dai nonni, per non “pesare” sempre, su di un’ unica famiglia. La mia infanzia non è stata molto facile. Nonostante le mie zie mi abbiano cresciuto e dato ciò che potevano, ho ricevuto un trattamento decisamente diverso da quello che avevano le mie cugine, loro figlie dirette. Non ho mai avuto abiti nuovi per me, ma sempre usati di qualcun altro.

Quando ho compiuto 11, anni, mio padre si è sposato con un’altra donna e mi hanno preso a vivere con loro. La mia matrigna era molto severa, ma mi ha voluto bene; ci teneva a prendersi cura di me.

Ho iniziato anch’io ad avere dei bei vestiti tutti per me. Mi ha insegnato come dovevo comportarmi con le altre persone, a essere ben educata.

Purtroppo quella ritrovata serenità non è durata molto. Nel 2001 mio padre ha perso il lavoro di camionista ed è partito per lavorare in Portogallo, mentre la mia matrigna è andata in Italia. Io sono rimasta a vivere con sua sorella per qualche mese. Non mi sono trovata molto bene da loro. Ho intuito che mio padre e la moglie si sarebbero lasciati. Così a 14 anni sono tornata a vivere da mia nonna.

Mio nonno voleva che io prendessi il diploma e così sono andata a studiare. Nel 2005 però, mio padre si è ammalato gravemente, è tornato a casa ed io sono andata a vivere con lui. La malattia lo costringeva a letto ed io me ne sono presa cura in tutto e per tutto. Facevo fatica a gestire casa e studio, così, ho deciso di lasciare la scuola. Mio fratello maggiore, che lavorava in Spagna, mandava i soldi per mantenerci.

Io passavo tutte le mie giornate solo ed esclusivamente in casa.  Ero senza una vita sociale, senza amici e senza aspirazioni. I miei coetanei vivevano la loro adolescenza stando con gli amici, andando a scuola. Io, invece, mi occupavo delle faccende di casa, cucinavo, coltivavo l’orto e stavo con papà.

Ma tua madre?

Lei voleva che la raggiungessi in Italia ma non ci sono mai voluta andare per paura che poi mi impedisse di tornare da mio padre. Con lei ho sempre avuto un rapporto conflittuale. Finché nel 2010 mi ha invitato ad andare in vacanza a casa sua, per due settimane, in Italia. Mio fratello, che nel frattempo era tornato dalla Spagna, mi ha spronato ad andare. È anche grazie al suo incoraggiamento che sono partita.

Com’è andata la vacanza?

Era il 7 settembre del 2010 e faceva caldo. Mia madre viveva in un comune di pochi abitanti e gestiva una trattoria con il suo compagno. Per la prima volta, ho visto qualcosa di diverso dalla solita vita di campagna.

Le persone del posto mi hanno raccontato che si poteva trovare lavoro, imparare la lingua e realizzare i propri sogni. A patto di averne …  di sogni. Io sinceramente, a quei tempi, non sapevo nemmeno cosa significasse.

Cinque giorni dopo, mi hanno chiamato da casa dicendomi che mia nonna si era ammalata. Ovviamente, quando c’era qualcuno da curare, toccava a me farlo.

Durante il viaggio di ritorno in pullman, ho conosciuto delle mie connazionali. Parlando con loro, ho sentito il desiderio di dare una “nuova vita alla mia vita!”  Con una di loro, sono rimasta anche in contatto.

Dopo un mese è morta mia nonna, ma il ricordo del mio viaggio in Italia, con tutte le possibilità che quel paese poteva offrirmi, mi ha dato il coraggio di parlare con la mia famiglia. Ho detto a mio padre che volevo venire in Italia e nonostante fosse malato, ha appoggiato la mia decisione. Lui era il primo a volere una vita migliore per me. Non mi ha mai fatto pesare che me ne fossi andata. Sapeva che era giunto il momento anche per me, di vivere la mia vita, al di fuori dai confini dell’orto di casa nostra.

Sei tornata da tua madre?

No, preferivo non vivere con lei, quindi sono andata a Brescia da quella donna che ho conosciuto in pullman. Ma dopo una settimana, questa persona continuava a chiedermi in prestito dei soldi e in più dovevo pagare cinque euro per notte. Quindi alla fine, ho chiamato mia madre. Sono andata a vivere da lei e ho iniziato a lavorare nella trattoria che gestiva con il compagno.

Così sei entrata nel mondo della ristorazione…

Si, per aiutare la mia famiglia ho imparato a fare il lavoro di mia madre.  Stavo in cucina e servivo ai tavoli. Con il tempo ho imparato anche la lingua e, man mano che miglioravo, mi sono accorta che mi piaceva quel mestiere. Tra i nostri clienti c’erano giornalisti, avvocati e dottori, che mi hanno fatto notare che ci sapevo fare con le  persone. Ero brava in qualcosa.  Per la prima volta in vita mia, ho iniziato credere in me stessa. Vedermi come una persona di valore mi ha fatto cambiare prospettiva. Così ho iniziato a sognare di avere un locale mio e di diventarne  titolare! Lavorare per me stessa mi avrebbe reso orgogliosa di me stessa.  Volevo poter dire a mio padre che stavo costruendo qualcosa di grande e di bello.

Quindi stava andando tutto per il meglio

Non proprio. Avevo 23 anni, ero senza documenti e mia madre non avrebbe potuto farmeli perché ero maggiorenne. Per mia fortuna, dopo un anno che lavoravo da lei, ho incontrato un ragazzo italiano, con il quale mi sono sposata. Grazie a lui ho avuto i permessi e sono riuscita ad andare via dalla trattoria. 

Ho cercato un lavoro dove potessi comunicare con le persone per migliorare la mia conoscenza della lingua. Ho iniziato fare le pulizie in un albergo e poco dopo il mio titolare mi ha proposto di lavorare nella cucina del suo locale, in cui sono stata però, solo per tre mesi.

Sapevo che se avessi voluto aprire qualcosa di mio, avrei dovuto fare la gavetta. Poco tempo dopo, mi hanno proposto di servire ai tavoli, in un locale vicino casa mia. In sei anni sono passata da sparecchiare i tavoli, ad aiuto cuoco, a cuoca, per finire a fare l’impiegata e coordinatrice del personale. Praticamente avevo imparato a gestire un ristorante.

La vita lavorativa andava a gonfie vele, mentre il mio matrimonio, era arrivato a un punto morto. Stavo a casa il meno possibile. Non credevo più nemmeno nell’amore. Finché poi ho conosciuto quello che è il mio attuale compagno. Ho ripreso in mano la mia vita, mettendo fine a un matrimonio che per me era ormai finito. Ricominciando da zero, quasi in tutto. Il lavoro che era stato per me fino ad allora, il mio punto saldo, è svanito con la pandemia.

Le chiusure obbligatorie e gli orari restrittivi avevano reso il clima sempre più teso. Dopo l’ennesimo intoppo, ho deciso insieme al mio compagno di chiudere anche quel capitolo della mia vita e di starmene a casa.

Com’è nata La 41?

Era domenica mattina, mi sono svegliata alle 6, il mio compagno si stava vestendo. Guardandolo negli occhi gli ho chiesto “Cosa ne pensi se apriamo qualcosa di nostro?”. Nell’istante preciso in cui lui mi ha risposto “va bene”, ho iniziato a credere davvero di poter realizzare il mio sogno. Il suo appoggio per me è stato fondamentale.

Un giorno, mentre stavo attraversando le strisce pedonali, vedo un locale in affitto, al civico numero 41. Chiamo il numero e prendo un appuntamento con la proprietaria per poterlo visionare.

Era una stanza unica, a parte un piccolo sgabuzzino e un bagno. Non c’era niente, ma già guardandolo dalla vetrina, l’avevo visto arredato e restaurato come è oggi. Abbiamo creato lo spazio per la cucina, il secondo bagno e rifatto l’impianto elettrico. Per riuscire a fare tutto abbiamo fatto molti sacrifici. Ho venduto la casa di mio padre. Grazie al suo ricavato e l’aiuto dei familiari, siamo riusciti a fare tutto. Successivamente ci siamo resi conto, che il locale che abbiamo scelto, si trova nel posto dove ci eravamo incontrati per la prima volta io e il mio compagno. Forse era destino che finissimo proprio lì, così il primo maggio 2021 abbiamo fatto l’inaugurazione.

Si può dire che hai avuto il tuo riscatto?

In un certo senso sì. Finalmente ora lavoro per me stessa, amo ciò che faccio e ci metto passione, dalla selezione dei prodotti alla cura dei piatti. Ho sempre sognato che le persone, entrando nel mio locale, si sentissero come a casa.

Ho solo un ultimo desiderio da realizzare e spero di poter confermare presto che questo paese, che mi ha aperto a una miriade di possibilità, mi conceda anche questa.

Ho fatto richiesta per poter mettere dei tavolini, in un’area pedonale, dall’altra parte della strada. Vorrei poter dare ai miei clienti uno spazio all’aperto, per farli accomodare e godersi queste bellissime serate. Dopo tanto tempo al chiuso, ci vuole un po’ d’aria fresca. Attualmente sto ancora aspettando che mi approvino questa proposta, anche se i tempi sembrano andare per le lunghe.

Mi rendo conto che ho già avuto tanto da Castel San Giovanni (in Italia n.d.r.). Per uno straniero non è facile avere un permesso, figuriamoci aprire un’attività. Ma più dell’utilità lavorativa, avere quell’autorizzazione, mi farebbe sentire realmente accettata, da questo paese.

Per te è davvero così importante poter mettere quei tavolini?

Si, perché finalmente potrei dire “guarda papà, ce l’ho fatta. Grazie per aver creduto in me e avermi lasciato partire.”

Che dire, grazie Eugenia per aver condiviso la tua storia. Ti auguro di cuore che questo permesso ti venga accordato.

Per vedere come andrà  a finire puoi seguire la pagina Facebook e Instagram qui.

https://www.facebook.com/la41pinseria.griglieria/

https://www.instagram.com/la_41_caste

Seguici

Cerca nel blog

Cerca

Chi siamo

Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

Ultimi post