Fake news

La locuzione   è entrata anche nella lingua italiana, accanto al termine bufala, per indicare in particolare informazioni false o non verificate diffuse dai media, in particolare sul Web, in generale per provocare volontariamente disinformazione o discredito.

Nemmeno le società democratiche, che pure dovrebbero permettere un maggior controllo critico delle fonti, sono immuni da questo fenomeno.

Questo tipo di disinformazione, pur basandosi su elementi di falsità di cui il divulgatore è in genere consapevole, si presenta con un aspetto insidioso di verosimiglianza e di autorevolezza; tale caratteristica è favorita dalla sua prevalente diffusione via web, che comporta il coinvolgimento   di un vastissimo pubblico in buona parte poco avvezzo a un vaglio critico delle fonti informative. Questa capacità critica richiede infatti un addestramento basato anche su un buon livello culturale di cui non tutti dispongono e di cui dovrebbe essere in primo luogo la scuola a farsi carico. Il web favorisce  inoltre la creazione di bolle all’interno delle quali ciascuno di noi tende a chiudersi e dove trova conferma delle proprie idee e dei propri pregiudizi.

 Gli stessi propalatori di bufale sul web hanno meno difficoltà a spacciarsi per fonti giornalistiche autorevoli.

Ovviamente la diffusione di notizie false, spesso costruite ad arte e con intenti precisi, non è una novità e ha sempre contribuito a creare o rafforzare pericolosi pregiudizi ma con l’espansione capillare del web ha assunto aspetti qualitativamente e quantitativamente molto rilevanti.

Nella propaganda politica la diffusione di fake news via web è organizzata in modo massiccio e sistematico e talvolta comporta l’ingerenza di apparati statali negli affari interni di un altro Stato.
La locuzione è nata nel primo decennio del secolo e si è definitivamente affermata a partire dal 2016 per “merito” soprattutto di Donald Trump che ne fece un uso sistematico fin dal momento dalla sua decisione di candidarsi   e in seguito durante il suo mandato presidenziale. Lo sviluppo delle fake news ha portato alla costruzione di veri e propri sistemi complessi di credenze che danno vita alle cosiddette post verità o verità alternative. Proprio dagli Usa ci vengono esempi illuminanti di costruzione di fake newsin grado di resistere a lungo a ogni possibile smentita.

 Attorno al 2007 cominciò a circolare la “notizia” secondo cui l’ex presidente Obama non fosse nato negli Stati Uniti e quindi non avrebbe avuto diritto, secondo le leggi statunitensi, a ricoprire cariche pubbliche. Nonostante lo stesso Obama abbia prodotto documentazioni inoppugnabili della falsità di questa “informazione”, essa ha avuto un’ampia diffusione ed utilizzazione finché lo stesso Trump, solo nel 2016, dopo averla a lungo sostenuta, ammise che si trattava di un falso.

Oltre a questo, continua a essere alimentata la credenza che lo stesso Obama sia di religione musulmana, circostanza anch’essa inutilmente smentita; ovviamente anche se questo fosse vero non dovrebbe essere in alcun modo un problema ma alimentare una simile diceria serve comunque a sollecitare paure ancestrali negli strati più conservatori dell’elettorato.

Generalmente chi si oppone a questa forma di disinformazioni, quando non le liquida come sciocche superstizioni frutto di ignoranza, contrappone ad esse dati di fatto oggettivi illudendosi che agire solo sul piano razionale basti a ristabilire la verità.

Anche se questa opera di demistificazione ha un importante valore culturale spesso si rivela insufficiente in quanto non tiene adeguatamente conto della componente psicologica e del contesto sociale che induce molte persone a credere alle bufale.

Chi vorrà continuare a dar credito alle bufale e a al sistema di verità alternative in cui sono inserite non entrerà nemmeno nel merito della loro contestazione razionale e fattuale attribuendola alla pervicace volontà di poteri occulti di tenere nascosta la presunta verità   per propri interessi inconfessabili.

Quindi piuttosto che limitarsi a smontare con le sole argomentazioni razionali una fake occorre soprattutto  capire chi e perché la considera attendibile. Commentando le acute riflessioni dello storico francese Marc Bloch a proposito della credenza nelle false notizie durante la Prima guerra mondiale, Sergio Luzzatto ha sottolineato la necessità di prendere in considerazione le notizie false come quelle vere in quanto esse “testimoniano di credenze diffuse, di mentalità collettive. E perché rivelano le paure profonde della società che le fabbrica, che le accoglie, che le moltiplica”https://www.donzelli.it/libro/9788868439392

 Anche se Bloch si riferiva a un contesto storico e culturale del tutto diverso da quello attuale, la sua analisi si rivela largamente applicabile anche al mondo di oggi.

Nelle nostre società è largamente diffuso un senso di insicurezza e di impotenza  di fronte a scelte che avvengono sulla testa dei cittadini anche nei Paesi con un livello di democrazia più o meno alto; questo rende le persone particolarmente inclini a credere a teorie complottistiche di cui le fake news sono componenti essenziali.

Il vero antidoto al veleno delle fake news e del complottismo è dunque l’ampliamento di forme di democrazia che diano ai cittadini strumenti di partecipazione in grado di incidere sulle decisioni più importanti che li riguardano.

 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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