Fumo e ceneri

Questo è il titolo dell’ultima opera dello scrittore indiano Amitav Ghosh, frutto delle ricerche da lui compiute al momento della preparazione della Trilogia dell’Ibis, il suo ciclo narrativo più noto, basato appunto su una dettagliatissima documentazione.

https://www.einaudi.it/catalogo-libri/storia/fumo-e-ceneri-amitav-ghosh-9788806267865/

Il testo completa a sua volta quella che il New York Times ha definito, con riferimento a due precedenti opere dell’autore indiano, la trilogia dell’Antropocene, quell’era della vita del Pianeta iniziata con la Rivoluzione industriale profondamente influenzata e trasformata dall’azione dell’uomo

Come altre opere dell’autore, che per comodità classifichiamo come saggistiche, si tratta in realtà di un testo difficilmente catalogabile in quanto in esso si intrecciano ampi tratti narrativi e autobiografici. L’ “ambiguità”  di questo come di precedenti testi rende meglio fruibili anche per il lettore comune   contenuti di per sé alquanto complessi.

La ricerca artistica e culturale di Ghosh muove, in larga parte della sua produzione, dalla ricerca delle cause primarie dell’attuale crisi climatica, individuate nel modello estremo di sfruttamento praticato dal colonialismo, prima che dal capitalismo, con   un utilizzo predatorio delle risorse umane e naturali; questo modello economico ha preceduto l’economia estrattiva di sfruttamento legata ai combustibili fossili, caratteristica  dell’era industriale.

La storia dell’oppio e della sua importanza nei commerci internazionali è strettamente legata a quella del tè, bevanda già conosciuta in Cina oltre 2000 fa ma per molti secoli considerato un prodotto di élite prima di conoscere una diffusione di massa. L’ importazione del tè in Occidente era legata, nel XVII secolo, alle rotte commerciali portoghesi e la diffusione della bevanda in Inghilterra, a metà del XVIII secolo, era già particolarmente ampia.  Nei decenni successivi, il commercio del tè divenne la principale fonte di guadagno della Compagnia delle Indie orientali, che ne deteneva in pratica il monopolio con cui, attraverso i dazi di importazione riscossi dallo Stato, veniva finanziata l’espansione commerciale britannica.

 Il tè veniva pagato alla Cina in argento, il che comportava un enorme deflusso del metallo provenienti dalle miniere delle Americhe verso questo Paese; attorno alla fine de ‘700 però il metallo cominciò a scarseggiare e per gli inglesi si pose il problema di come effettuare il pagamento. Si trattava di individuare una merce che potesse essere usata per gli scambi commerciali, dato che la Cina non sembrava interessata all’acquisizione volontaria di merci occidentali. Questa difficoltà fu superata con l’introduzione illegale nel Paese dell’oppio dapprima con il contrabbando poi anche con la forza delle armi (guerre dell’oppio). 

 La soluzione di coltivare il tè nelle proprie colonie era resa difficile dal divieto posto dai cinesi all’esportazione della pianta e delle relative tecniche di coltivazione; la produzione del tè in regime coloniale da parte inglese in India cominciò solo dopo la prima guerra dell’oppio (1839-42) in alcune regioni indiane e nello Sri-Lanka. L’oppio coltivato in India   della Compagnia delle Indie orientali divenne dunque la base di un commercio triangolare: oppio coltivato in India imposto alla Cina e pagato in argento con cui poi veniva acquistato il tè. La violenza coloniale era alla base sia dei metodi di produzione schiavistico del tè indiano sia della sua imposizione al mercato cinese.  In pochi anni il consumo cinese di oppio, dapprima riservato a una ristretta élite e imposto contro la volontà dei governanti cinesi, produsse dipendenza in larghi strati della popolazione. L’azione dell’oppio permane fino ai nostri giorni se si pensa ai problemi creati, per ora soprattutto negli Usa, dalla dipendenza da fentanyl, un oppioide prodotto per sintesi chimica.

 Ieri come oggi, sottolinea Ghosh, l’abuso dell’oppio e dei suoi derivati non ha origine in una domanda dei consumatori a cui risponderebbe un’offerta, come i sacerdoti del libero mercato amano farci credere, ma è vero piuttosto l’opposto; ieri l’offerta era imposta anche con le armi, oggi con una persistente propaganda lautamente finanziata a cui  vasti settori medici si sono colpevolmente prestati. Ieri come oggi si cerca insomma di minimizzare gli effetti di questo losco commercio facendone in sostanza ricadere la responsabilità sui consumatori.

Per l’autore indiano sia l’oppio che, in precedenza, la noce moscata, al cui commercio è dedicato un precedente saggio, sono “agenti non umani” della storia, cioè sostanze che per le loro caratteristiche sono in grado di influenzare profondamente le vicende umane anche al di là di ogni pianificazione umana.

https://neripozza.it/libro/9788854523050

 Storia umana e storia naturale, insomma, si intrecciano profondamente e la logica di sfruttamento estrattivo, le cui dinamiche hanno origini nell’era del colonialismo classico, si riproducono con gli stessi meccanismi nell’era dei combustibili fossili. La logica dello sfruttamento coloniale, relativo all’oppio ma praticato in precedenza per altre ricchezze estratte dalle colonie, impose la monocultura a vaste zone dell’India, senza alcun riguardo per la devastazione ambientale e la miseria umana provocate nelle regioni interessate, che oltretutto non ne traevano significativi vantaggi economici. L’obiettivo era esclusivamente la ricerca dei maggiori profitti possibili a vantaggio dell’impero britannico. La stessa logica estrattiva è stata poi applicata ai combustibili fossili che creano dipendenza nei sistemi economici, ponendosi come elementi imprescindibili e apparentemente senza alternative possibili. I criteri di estrazione e di commercializzazione di gas, carbone e petrolio seguono gli stessi metodi di sfruttamento degli esseri umani e delle risorse naturali propri dell’oppio e delle altre merci sistemiche che hanno fatto prosperare le potenze coloniali. Come l’oppio e la noce moscata anche i combustibili fossili sono “agenti non umani” in grado di influenzare il destino dell’intera umanità.

La crisi climatica attuale non è dunque un incidente di percorso ma l’inevitabile conseguenza di un sistema estrattivo che ha le sue radici nel colonialismo e che si basa su una visione delle risorse umane e naturali come mero oggetto di sfruttamento.  L’economia fossile ha svolto un ruolo importante nello sviluppo umano, sia pure con forti squilibri fra le varie regioni del mondo, ma occorre prendere atto  che il suo “peccato originale” la rende sempre più insostenibile.

La comprensione dell’intreccio e il superamento della distorsione del rapporto umano con le risorse naturali dovrebbe essere la chiave per uscire dalla crisi attuale, anche se ancora non esiste la reale volontà per farlo a causa soprattutto della resistenza delle potenti lobby dei combustibili fossili che influenzano le scelte economiche e sociali dei governi. A questo si aggiungono naturalmente difficoltà di tipo economico, sociale e culturale , connesse alla necessaria transizione energetica, che rendono complesse le radicali e imprescindibili trasformazioni dell’intero sistema economico mondiale.

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