Genocidio

Con il termine genocidio si intende la sistematica persecuzione e l’annientamento anche attraverso la dissoluzione di ogni legame familiare, sociale, culturale degli appartenenti a un gruppo etnico, razziale e religioso, perpetrati da singoli individui o da Stati.

Etimologicamente la parola derive dal greco genos (stirpe) e dal latino caedo (uccidere).

Il termine, nella sua versione inglese genocide, fu utilizzato per la prima volta da Raphael Lemkin, un giurista ebreo di origine polacca che si era rifugiato in Svezia dopo l’occupazione nazista della Polonia nel 1939, in seguito alla quale 49 membri della sua famiglia trovarono la morte nei campi di concentramento nazisti.

Nel 1944 Lemkin utilizzò il neologismo da lui creato in una pubblicazione in cui analizzava le sistematiche politiche di sterminio messe in atto dalla Germania e dai suoi alleati nel corso della guerra, applicando e ampliando gli stessi strumenti di analisi da lui utilizzati riguardo all’annientamento della minoranza armena. L’autore sentiva il bisogno di introdurre nel linguaggio giuridico un nuovo termine che descrivesse in modo più adeguato la realtà degli stermini di massa del XX secolo e aprisse la strada alla creazione di strumenti giuridici idonei a perseguirli

Prima della guerra Lemkin si era occupato dello sterminio degli armeni, proponendo alla Società delle Nazioni una condanna specifica di questo crimine.

Fra il 1915 e il 1916 l’Impero ottomano perseguitò in modo sistematico la minoranza armena, causando presumibilmente la morte di oltre un milione di persone.

Durante il processo di Norimberga Lemkin fu consulente del Procuratore capo Robert Jackson.

Nel 1953 il giurista denunciò come genocidio anche la politica perseguita dal comunismo staliniano nei confronti dell’Ucraina negli anni Trenta.

Per tutto il secondo dopoguerra è continuato lo sforzo di sviluppare la linea giuridica tracciata da Lemkin, con l’esigenza di superare i limiti del Tribunale di Norimberga che aveva il carattere di un tribunale militare emanazione di potenze vincitrici.  Si trattava di creare organismi giuridici sovranazionali   in grado di condannare il genocidio e altri crimini contro l’umanità; nel 2002 fu finalmente creata, anche grazie alla pressione esercitata in vari Paesi da numerose organizzazioni non governative, la Corte penale internazionale (Cpi) competente per i crimini contro l’umanità. Questo tribunale ha un carattere sovranazionale e ha un rapporto non subordinato con l’ONU, una giurisdizione internazionale e può intervenire nei casi in cui i singoli Stati non possano o non vogliano farlo. A differenza della Corte internazionale dell’Onu, la CPI agisce contro individui e non contro Stati e può chiedere l’estradizione di cittadini di Stati che vi aderiscono anche per crimini commessi al di fuori di essi.

La sua istituzione fu il frutto anche del clima sorto  in seguito alla creazione, negli anni precedenti, di tribunali ad hoc per giudicare crimini commessi in Ruanda e nell’ex Jugoslavia.

Un notevole intralcio all’azione della Cpi è causato dal fatto, che pur potendo contare sull’adesione   di 123 Stati, non annovera fra i suoi membri, fra gli altri, gli Usa, la Repubblica popolare cinese, la Russia, Israele e la Siria.

La terribile sofferenza della Shoah e di altri genocidi ha  accresciuto la consapevolezza della necessità di  combattere, anche con strumenti giuridici sempre più adeguati, crimini che feriscono tutta l’umanità dovunque e da chiunque vengano commessi; la strada da percorrere per creare efficienti strumenti di giustizia sovranazionale e indipendenti è tuttavia, come abbiamo visto, ancora lunga e tortuosa.

Memoriale del genocidio degli armeni a Yerevan

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