Il 27 gennaio ricorre ogni anno il Giorno internazionale della Memoria per ricordare, nella ricorrenza della liberazione del campo di concentramento nazista di Auschwitz nel 1945, tutte le vittime dell’Olocausto.
La ricorrenza è stata istituita con risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni del primo novembre 2005, a seguito di una sessione speciale tenutasi in occasione del sessantesimo anniversario dell’evento.
La celebrazione fu concepita non solo come un omaggio ai milioni di morti della barbarie nazifascista ma anche con la speranza, purtroppo non confortata da eventi successivi anche attuali, che la memoria fosse un antidoto al ripetersi di eventi simili.
Nonostante il suo valore universale, la giornata di quest’anno è inevitabilmente influenzata dall’acuirsi del conflitto fra israeliani e palestinesi.
Com’è noto, nei confronti degli ebrei la furia nazista manifestò tutta la sua ferocia arrivando a programmarne lo sterminio totale. Questa furia genocida traeva alimento da secoli di persecuzione antiebraica di cui il nazismo raccoglieva e nutriva i frutti avvelenati.
(Anche se il termine antisemitismo è entrato nell’uso comune per indicare la persecuzione contro gli ebrei preferisco qui usare il termine antiebraismo in quanto anche altre popolazioni, fra cui quelle arabe, sono considerate semitiche).
Il 7 ottobre scorso gruppi armati di Hamas e di altre formazioni islamiste provenienti dalla Striscia di Gaza hanno fatto irruzione in territorio israeliano mettendo in atto ogni genere di violenza contro inermi cittadini israeliani; oltre mille persone sono state trucidate e 250 rapite. Molte delle vittime avevano in passato manifestato atteggiamenti di collaborazione con i palestinesi della vicina Striscia di Gaza e una netta opposizione alle politiche dello Stato israeliano in nome del riconoscimento dei diritti del popolo palestinese.
Per ammissione degli stessi terroristi si è trattato di un vero e proprio pogrom che ha inteso colpire il maggior numero possibile di ebrei in quanto tali e del più grave atto di violenza antiebraica dai tempi del nazismo. Del resto, le organizzazioni che hanno compiuto l’eccidio non hanno mai fatto mistero di avere come obiettivo la distruzione dello Stato di Israele da perseguire con lo sterminio degli ebrei. Un’azione così brutale ha inoltre esposto la popolazione di Gaza senza alcuna protezione alla successiva rappresaglia israeliana e non ha in alcun modo contribuito al progresso della causa palestinese.
Si tratta di un episodio che va senz’altro condannato senza alcuna esitazione come un criminale esplosione di persecuzione antiebraica che non può trovare nessuna giustificazione in ipocrite contestualizzazioni all’interno del conflitto fra israeliani e palestinesi.
La reazione di Israele è stata immediata e durissima e, con la motivazione della distruzione di Hamas, si è trasformata in una sorta di “punizione collettiva” indiscriminata verso una popolazione palestinese, già costretta a vivere in condizioni di miseria e di sovraffollamento.
Questa sproporzionata reazione militare, unita all’illegittima colonizzazione in atto da molti anni da parte israeliana nei territori palestinesi della Cisgiordania, ha suscitato vibrate proteste in tutto il mondo; il governo sudafricano è arrivato ad accusare Israele di genocidio di fronte alla Corte internazionale di giustizia dell’Onu.
La motivata solidarietà nei confronti dei diritti dei palestinesi e le critiche verso il governo israeliano sono però talvolta sfociate, un po’ ovunque, in atti di violenza contro singoli ebrei o contro comunità e istituzioni ebraiche che in qualche modo hanno richiamato un passato che si credeva superato. Accanto a manifestazioni di solidarietà nei confronti dei palestinesi, non è mancata la voce di chi si ostina a negare il diritto all’esistenza dello Stato di Israele e si spinge a giustificare o addirittura a esaltare il pogrom di Hamas.
Sull’altro versante si sono manifestate forme di intolleranza e gesti di violenza antiarabe antiislamiche.
Tutto questo rischia di inficiare il carattere universale che il Giorno della Memoria dovrebbe avere ma al tempo stesso può offrire lo spunto per una proficua riflessione che riguarda tutte le coscienze democratiche.
Da un lato il riconoscimento dei diritti dei palestinesi e la protesta contro condizione attuale di questo popolo devono essere rivolti verso lo Stato e il governo di Israele e non giustificano in nessun caso forme di rigurgiti antiebraici.
Dall’altre parte deve essere riconosciuto la legittimità di questo tipo di critica che non può essere strumentalmente tacciata di antiebraismo.
Anche qualsiasi associazione fra i crimini di Hamas e l’intero popolo palestinese o addirittura l’intera comunità araba appare inaccettabile perché appartiene a quell’armamentario ideologico che ha giustificato e continua a giustificare tanti crimini. Ogni forma di strumentalizzazione quali i ricorrenti tentativi di parallelismo fra la Shoah, termine che indica specificamente lo sterminio nazista degli ebrei, e l’attuale situazione del conflitto fra israeliani e palestinesi appare inaccettabile per la totale diversità dei rispettivi contesti storici.
Una riflessione dei meccanismi mentali e ideologici che non ci permettono nemmeno oggi di considerare definitivamente irripetibile l’esperienza dell’Olocausto può invece dare un senso anche al Giorno della Memoria di questo e dei prossimi anni.
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