Le forze reazionarie di tutto il mondo hanno scatenato una guerra contro le parole dell’inclusione e del rispetto delle diversità. Le destre estreme al potere stanno insomma attuando concretamente quella politica di censura e di limitazione della libertà di espressione di cui in questi anni hanno strumentalmente accusato gli ambienti progressisti; vengono colpite in particolare tutte quelle espressioni riconducibili all’ orientamento sessuale, all’inclusione di gruppi e individui emarginati, nonché all’attivismo di associazioni che si battono per favorire rispetto e inclusione.
Alla testa di questo poco nobile battaglia c’è naturalmente la nuova amministrazione Trump che, tornato al potere per la seconda volta, ha subito avviato una sorta di epurazione linguistica tesa ad eliminare dagli atti ufficiali tutte le forme linguistiche introdotte nel corso del tempo ritenute espressione della cosiddetta cultura woke, detestata dalle destre di tutto il mondo proprio perché si è proposta in questi anni di prestare attenzione alla dignità delle persone contro ogni forma di discriminazione.
La nuova amministrazione Usa ha decretato in alcuni casi un vero e proprio bando, in altri ha rivolto raccomandazioni a non usare termini inclusivi; in realtà anche enti privati che non si attengono “volontariamente” alla filosofia trumpiana subiscono il minaccioso ricatto del taglio dei finanziamenti pubblici.
Per fare alcuni esempi vengono bandite parole quali razzismo, antirazzismo, pregiudizio, nero/nera (riferito a persone dalla pelle non sufficientemente chiara), persona indigena nonché lavoratori lavoratrici del sesso, disabilità, discriminazione, femminismo e via discriminando. Non manca inoltre la messa al bando di parole riferite alla crisi climatica e che in quanto tali contravvengono al negazionismo di cui il Presidente è un acceso e interessato assertore. Si ventila addirittura la possibilità che il Ministero della Difesa statunitense bandiscaogni riferimento storico al bombardiere Enola Gay che sganciò le bombe atomiche sul Giappone; questo provvedimento non sarebbe dovuto all’improvviso insorgere di un sentimento pacifista bensì al fatto che il cognome Gay della madre del pilota che compì questo crimine di guerra potrebbe pericolosamente i ricordare un orientamento sessuale non conforme alla morale trumpiana.
Non è da meno il presidente argentino Milei che l’anno scorso ha ordinato il divieto di utilizzare nei documenti ufficiali le forme linguistiche che esprimono “l’inutile inserimento del femminile (sic!) in tutti i documenti pubblici.” Come se non bastasse nell’anno in corso lo stesso Milei ha dichiarato ammissibile l’uso di termini quali “imbecille” idiota” “debole di mente” per indicare, anche nei documenti pubblici persone affette da disabilità mentali che possono essere ora definite come “ritardi menali”.
Si tratta di una regressione culturale che reintroduce stigmatizzazioni della disabilità che in quanto provengono dall’alto aprono la strada a ulteriori forme di discriminazione e di violenza nei confronti di una serie di soggetti deboli già in difficoltà.
A conferma del fatto che le parole non sono vuote formalità, a questa guerra al linguaggio inclusivo stanno facendo seguito una serie di provvedimenti concreti di attacco indiscriminato ai diritti delle donne, delle persone omosessuali e transessuali, degli immigrati e pesanti atti di violenta discriminazione nei loro confronti.
Questo dovrebbe essere un ammonimento per tutti quegli ambienti democratici che hanno sottovalutato l’importanza di un linguaggio impegnato a rispettare la sensibilità e il diritto di ogni essere umano di decidere il modo di cui intende essere denominato.
Le ingenue esagerazioni dei difensori di un linguaggio “politicamente corretto” non possono essere addotte come scusante per questo attacco alla sensibilità e ai diritti delle persone.
Gli esempi citati sono solo il più eclatanti e stanno trovando epigoni ed estimatori in tutti I Paesi in cui l’estrema destra è al potere o esercita comunque una forte influenza. In Italia dove, com’è noto, Giorgia Meloni non trova dignitoso che la carica da lei ricoperta venga definita al femminile, si sono levate grida di gioia per le censure linguistiche operate dalla nuova amministrazione americana; il ministro della Pubblica Istruzione, già protagonista di atteggiamenti censori e punitivi verso docenti politicamente poco graditi, non ha esitato a emanare circolari che vietano l’uso dell’asterisco e dello schwa nei documenti dell’amministrazione scolastica a tutti i livelli, con la motivazione che tali pratiche ostacolerebbero la comprensibilità e la leggibilità dei testi, contravvenendo inoltre alle regole della lingua italiana. Non si tratta di difendere ad ogni costo l’introduzione di questi espedienti linguistici che hanno un carattere sperimentale ma si propongono la finalità di un rispetto anche formale di tutte le persone. È evidente che la conservazione della purezza linguistica sia l’ultima delle preoccupazioni del ministro che infatti è espressione di un partito ossessionato dal dilagare della cosiddetta teoria gender di cui anche gli usi linguistici sarebbero un subdolo strumento.
Del resto, anche sul conclamato piano della difesa della lingua italiana, il ministro avrebbe modi ben più concreti di intervenire, fornendo alle scuole strumenti e mezzi finanziari che vengono invece sempre più lesinati.
In concreto il ministro è espressione di un governo che si rifiuta di introdurre nella scuola quell’educazione affettiva che potrebbe essere un modo concreto di prevenire tanti casi di violenza e di sopraffazione. Come si vede anche in questo caso la guerra alle forme linguistiche dell’inclusione e della tolleranza è una componente organica di concrete politiche di ostacolo a questi valori.
Se l’esempio italiano può sembrare ancora di tono minore, quanti sta accadendo in altre realtà dimostra che una volta imboccata una certa strada è difficile ingranare la retromarcia.
Alla lunga si potrebbe ritenere che questa guerra alle parole sia un vano tentativo di nascondere i problemi sottesi al loro uso e probabilmente questa battaglia di retroguardia è destinata alla sconfitta ma nel frattempo non possiamo trascurare le sofferenze che questa regressione culturale e i provvedimenti che la concretizzano producono nei soggetti più deboli delle nostre società.