Il colonialismo buono dell’Italia: un mito da sfatare

Istituire una “Giornata nazionale in ricordo delle vittime del colonialismo italiano”, scegliendo come data il 19 febbraio: questa è la richiesta contenuta in una proposta di legge presentata alla Camera dei deputati italiana nell’ormai lontano 2006, la cui discussione e approvazione è stata recentemente sollecitata nell’ambito delle proteste suscitate, anche in Italia, dal movimento Black Lives Matter.

Fra il 19 e il 21 febbraio del 1937 ad Addis Abeba fu scritta una delle pagine più oscure della storia italiana; militari, camicie nere e civili italiani scatenarono ogni sorta di violenza contro chiunque avesse la pelle scura. Da qui la violenza degli invasori italiani si estese a varie zone dell’Etiopia occupata, anche con bombardamenti indiscriminati contro civili inermi, reclusioni in campi di sterminio e con decine di migliaia di vittime etiopi.

Il 9 maggio del 1936 Mussolini aveva proclamato la nascita dell’impero; Vittorio Emanuele III divenne imperatore d’Etiopia mentre il generale Graziani fu nominato viceré.

Quest’ultimo si propose di stroncare definitivamente la resistenza etiope all’invasione, proseguendo e aggravando i metodi criminali utilizzati dal suo predecessore Badoglio, che pure non aveva esitato a comandare bombardamenti indiscriminati contro la popolazione civile e ad autorizzare l’uso di gas asfissianti. 

La resistenza etiope culminò nel fallito attentato a Graziani, avvenuto lo stesso 19 febbraio, che costituì il pretesto per la rappresaglia.

Di recente i movimenti di protesta antirazzisti hanno avanzato anche la richiesta di “decolonizzare” le città italiane, mettendo in discussione tutti i monumenti, i nomi di piazze e di strade che celebrano indebitamente il colonialismo dell’Italia, le cui nefandezze non sono inferiori a quelle perpetrate dalle altre potenze coloniali. 

Il caso estremo è quello del comune laziale di Affile che ha deciso di ricordare le “gesta” del generale Graziani addirittura con un monumento, oggetto di controversie giudiziarie che si trascinano da anni.

Del problema della “decolonizzazione urbana” Sconfinamenti si è a suo tempo occupato, nell’articolo “Ambaradan, Amba Aradam: lingua e colonialismo” (https://sconfinamenti.info/?s=Amba+Aradan).

Queste iniziative appaiono quanto mai opportune come contributo alla rielaborazione del passato coloniale in un Paese che ha difficoltà a compiere questo processo. 

La tematica è oggetto anche della riflessione dello storico Francesco Filippi: Noi però gli abbiamo fatto  le strade è il provocatorio titolo del  saggio pubblicata nel 2021 che riprende, per confutarlo, il  luogo comune che, più o meno in questi termini, circola a vari livelli, anche politicamente rilevanti e che sintetizza in modo emblematico l’insufficiente elaborazione  critica e  l’atteggiamento autoassolutorio nei confronti di un periodo relativamente recente della storia italiana.

La presa di coscienza di un aspetto della storia nazionale non può restare un astratto progetto accademico ma deve essere concepita come un percorso necessario di tutta la società, in grado anche di influenzare positivamente il confronto con culture profondamente diverse dalla propria. 

L’atteggiamento di superiorità e di disprezzo diffuso in modo così inquietante verso chi bussa ali confini italiani è infatti radicato profondamente in un immaginario che le avventure coloniali hanno fortemente contribuito a consolidare.

Non si tratta certo di un fenomeno esclusivamente italiano ma qui preme sottolinearne alcuni aspetti peculiari con connotazioni specificamente italiane.

Il fatto che il colonialismo italiano, per dimensioni e durata, non sia paragonabile con quello di altri Paesi europei ha indotto a sminuirne le dimensioni e la portata e in sostanza anche la spietatezza

Veduta di Addis Abeba

Angelo Del Boca, recentemente scomparso, incrinò   in modo decisivo questo atteggiamento indulgente, con la pubblicazione, a partire dal 1976, dei suoi studi sul colonialismo in epoca fascista, che lo portarono, fra l’altro, a dimostrare in modo inoppugnabile l’uso di gas contro la resistenza delle popolazioni africane da parte dell’esercito italiano. 

Non manca tuttavia chi ancora oggi continua a edulcorare il ricordo perfino del colonialismo fascista, sulle orme di Indro Montanelli che a questa operazione ha legato la parte meno encomiabile della sua presenza pubblica e della sua attività pubblicistica. I crimini di guerra compiuti nelle colonie non furono mai di fatto perseguiti nemmeno nell’Italia repubblicana, che si oppose anche all’estradizione dei loro autori.

Nel migliore dei casi, anche nell’Italia democratica, si è spesso radicata, un’immagine del colonialismo e dell’ideologia che l’ha sostenuto, come di una parentesi esclusivamente legata al periodo fascista, che mette decisamente in ombra la fase precedente in cui l’Italia divenne una potenza coloniale e adottò in pieno, metodi e mentalità tipiche del colonialismo.

In effetti, il fenomeno coloniale ha interessato un periodo consistente della storia dell’Italia moderna; esso ebbe infatti nel 1882 con l’acquisizione del porto di Assab sul Mar Rosso da parte del governo italiano e la successiva colonizzazione di Eritrea e Somalia.

Nel 1911-12 L’Italia sottrasse all’Impero turco la Libia   e le isole del Dodecaneso nel mar Egeo. Durante il fascismo si ebbe la conquista dell’Etiopia che nel 1936 insieme ai territori di Somalia ed Eritrea dette vita all’Africa orientale italiana e alla nascita dell’Impero italiano.

L’Italia perse il controllo dei territori africani, a opera degli inglesi, in seguito alle vicende della Seconda guerra mondiale e, con i successivi trattati di pace, ottenne l’amministrazione fiduciaria della sola ex Somalia italiana, fino all’indipendenza proclamata nel 1960.

La volontà di pacifica “civilizzazione” con cui la classe politica liberale giustificò l’inizio dell’avventura coloniale, lasciò ben presto il posto alla realtà di un dominio coloniale razzista e predatorio, che non si discostava sostanzialmente da quello delle altre potenze coloniali e che rimase, di fatto, la cifra dominante della presenza italiana in Africa.

In generale, si può oltretutto affermare che i vantaggi commerciali e di sfruttamento economico delle colonie risultarono nel complesso modesti, non paragonabili con quelli ottenuti dalla Francia e dall’Inghilterra. Questi insoddisfacenti risultati economici lasciarono il posto alla pretesa di equiparare a ogni costo l’Italia alle maggiori potenze coloniali.

Se la colonizzazione fascista ha costituito solo il momento più esplicito e sanguinario della volontà di dominio italiana, occorre dunque prendere atto della sostanziale continuità politica e ideologica fra il colonialismo dell’Italia liberale e quello del ventennio fascista, con strascichi che si sono protratti anche in epoca repubblicana. La stessa ideologia razzista, che maturò pienamente con l’emanazione delle leggi razziali del 1938, ebbe anche nella dominazione coloniale il proprio brodo di coltura.

Nell’Italia repubblicana, a ostacolare un salutare confronto critico con questo aspetto della storia italiana, ha contribuito anche l’inerzia politica diffusa, in varia misura, in tutti gli schieramenti che, dando prova di grande miopia, si occupano di problemi legati alla storia del Paese solo quando pensano di trarne qualche immediato vantaggio elettorale.

Una breccia nel muro si è ora aperta sia con la pubblicazione di opere come quella di Filippi sia con gesti significativi, quali l’omaggio reso alla Resistenza etiope dal Presedente Mattarella durante la visita in Etiopia nel 2016.
Si tratta ora di far diventare senso comune nell’opinione pubblica una coscienza anticolonialista e in questo naturalmente un ruolo importante è affidato alla scuola e ai media.

In conclusione, riflettere sul colonialismo farebbe comprendere meglio le radici non solo del fascismo storico ma anche delle basi ideologiche e sociali che sono alla base del suo riproporsi inquietante anche nell’Italia di oggi.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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