Il Ruanda trent’anni dopo il genocidio

Fra aprile e luglio 1994 in Ruanda esponenti dell’etnia hutu massacrarono circa ottocentomila esponenti dell’etnia tutsi e anche un certo numero di hutu moderati. A trent’anni di distanza vale la pena analizzare i progressi compiuti dal Paese e i problemi che rimangono ancora aperti; questo è anche un modo per contrastare un certo tipo di informazione molto diffusa alle nostre latitudini che considera l’Africa un’entità indifferenziata di cui occuparsi solo quando avvengono fatti eclatanti, specie se negativi.

Alcuni responsabili del genocidio sono stati nel frattempo   processati da tribunali ruandesi, dal Tribunale internazionale per il Ruanda istituito nel 1994 dal Consiglio di sicurezza dell’Onu e da tribunali in Europa e nel Nord America. Portare a termine questo processo di giustizia è indispensabile per sanare le ferite del passato e procedere verso una vera e completa pacificazione. Appare indispensabile a questo scopo anche riconoscere le responsabilità della Comunità internazionale nei crimini di trent’anni fa; l’Onu, a genocidio già in corso, ritirò il proprio contingente dal Paese lasciando campo libero ai massacratori. Anche il contingente francese inviato nell’area non riuscì a fermare il genocidio e da parte dei tutsi fu accusato di essere intervenuto solo a tutela degli interessi economici francesi; l’attuale Presidente francese ha ammesso il 4 aprile scorso le responsabilità occidentali e in particolare quelle del suo Paese.

In termini storici, del resto, il colonialismo belga fra il 1919 e il 1957 ha pesantemente contribuito ad accrescere l’odio fra le etnie principali del Paese, secondo il principio del “divide et impera”.

Come risposta al genocidio vi fu la reazione dei tutsi che, raggruppati nel Fronte patriottico ruandese guidato dall’attuale presidente Kagame, presero il potere, determinando l’esodo di1,4 milioni di hutu soprattutto nella vicina Repubblica democratica del Congo. Questa situazione ha contribuito al permanere nella regione una serie di turbolenze di cui furono   vittime nel febbraio del 2021 anche l’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo Luca Attanasio e due suoi accompagnatori

A proposito della punizione dei responsabili del genocidio, Amnesty International richiama la comunità internazionale a portare a termine l’opera di giustizia compiuta per ora solo in parte.

Nonostante queste turbolenze il Paese africano ha conosciuto profonde trasformazioni.

Fra il 1990 e il 2020 il Pil pro capite è triplicato mentre la popolazione è cresciuta del 78 %, compensando il crollo demografico a seguito del genocidio e delle sue conseguenze; oggi il Paese conta circa 14 milioni di abitanti, 84% di etnia hutu, 15% tutsi e 1% twa.

 Il tasso di incremento demografico è comunque inferiore rispetto ai Paesi confinanti, grazie a un’efficace politica demografica e a un miglioramento della condizione delle donne, maggiormente presenti nel mercato del lavoro e con un accresciuto livello di istruzione.

Grossi progressi sono stati compiuti anche nel settore sanitario tanto che le cure sanitarie raggiungono oggi il 90% della popolazione. Tutti questi fattori hanno portato l’aspettativa di vita dei ruandesi a sfiorare i 70 anni, con un incremento di ben 20 rispetto a trent’anni fa.

Questi dati positivi nello sviluppo sociale ed economico non cancellano i molti problemi che incombono sul futuro del Paese.

Innanzitutto, la regione è interessata da una condizione di forte instabilità e lo stato di guerra continua nel Congo si ripercuote anche sul Ruanda che del resto non è estraneo a tali conflitti.

Lo sviluppo economico ha poi basi poco solide, sostenuto soprattutto da massicci investimenti  pubblici che non potranno continuare all’infinito in questa misura mentre il Paese risulta povero di risorse naturali.

Sul piano politico il Ruanda è una repubblica presidenziale in cui il potere è saldamente in mano a Paul Kagame di etnia tutsi che ha avuto un ruolo importante anche se non privo di ambiguità nel periodo successivo al genocidio; è presidente dal 2000 ed è stato confermato in modo plebiscitario in successive elezioni, svoltesi in modo non trasparente e senza garanzie democratiche. Nel Paese di fatto non esiste libertà di stampa e di opinione e più di un giornalista indipendente è stato ucciso per la sua attività.

Com’è noto negli ultimi tempi si è molto parlato della volontà della Gran Bretagna di ricollocare i richiedenti asilo in Ruanda, ovviamente previa corresponsione di corposi risarcimenti.

L’accordo fra i due Paesi è stato raggiunto, nonostante la Corte d’appello inglese avesse negato al Ruanda le caratteristiche di “Paese sicuro”; i giudici inglesi ritengono infatti che le carenze per le procedure d’asilo vigenti in Ruanda non escluderebbero la possibilità di un rinvio dei richiedenti asilo nei Paesi di origine a rischio della propria incolumità.

La dimostrazione che quello fra Ruanda e Regno Unito sia semplicemente un accordo di tipo commerciale è dimostrato dal fatto che il Paese africano non ritiene di essere in condizione di accogliere sul proprio territorio i profughi delle guerre nel vicino Congo.

Luci e ombre, dunque, di un Paese che cerca con difficoltà un futuro migliore, tentando di cancellare le ombre cruente del passato.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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