Il viaggio della nascita raccontato dal bambino

Continuiamo il nostro viaggio di esplorazione nel mondo della genitorialità, questa volta da una prospettiva di eccellenza, quella del bambino nella fase prenatale e perinatale.

L’articolo prende spunto da uno dei capitoli, a mio giudizio, più affascinanti di un libro scritto alcuni anni fa insieme all’equipe del Consultorio familiare dove ho lavorato come volontaria per diversi anni. Il libro, dal titolo Portato da una cometa, raccoglieva l’esperienza accumulata nell’ambito dell’adozione inquadrata in un ampio impianto teorico e il capitolo in questione si riferisce alla formazione della memoria a partire dalle prime esperienze intrauterine.

Dunque, cosa accade a questo esserino mentre si sta sviluppando nel grembo materno? Nella vita intrauterina, il feto vive una condizione di quiete e rilassamento, il liquido amniotico in cui è immerso lo sostiene e lo protegge dagli stimoli esterni che, quando arrivano, non solo sono attutiti, ma sono subito scaricati attraverso il sistema neuromotorio che precede di poco quello sensoriale senza provocare alcun aumento di tensione. Ma non dobbiamo immaginare che nel corso della gestazione il feto non faccia esperienze che, in qualche modo, gettano le basi per una rudimentale attività mentale.

A dirlo sono numerose ricerche che hanno evidenziato come, alla nascita, il bambino possiede già un patrimonio di conoscenze che definiscono una prima forma di memoria denominata implicita.

Per chiarezza, la memoria implicita si distingue da quella esplicita in quanto “ descrive quella parte di memoria che consente all’uomo la possibilità di essere influenzato dalle passate esperienze senza avere la consapevolezza di ricordare”. Essa, infatti, non è associata all’esperienza soggettiva di stare ricordando poiché è una memoria che non può essere espressa verbalmente, per questo è anche detta “non dichiarativa” e comprende la memoria corporea, emozionale e comportamentale.

Ma torniamo alle nostre ricerche sui neonati! Il metodo utilizzato è stato soprattutto quello delle preferenze che consiste nel presentare due stimoli simultaneamente al bambino misurando poi quanto a lungo guarda ciascuna immagine. Se le misurazioni evidenziano una differenza significativa tra uno stimolo e l’altro vuol dire che il piccolo esprime una preferenza. Con questo metodo si è potuto osservare che tra due stimoli di cui uno nuovo, il neonato tende a guardare di più quest’ultimo, il che ci dice che non solo egli può distinguere e discriminare tra due stimoli, ma anche che possiede, sin dalla nascita, un qualche tipo di memoria di riconoscimento che gli permette di distinguere uno stimolo familiare da uno non familiare.

In un altro studio, che prendeva in esame quali suoni può sentire un feto, furono registrate le voci di madri che leggevano storie per bambini che furono poi fatte ascoltare ai loro neonati. I risultati portarono alla conclusione che entro i primi tre giorni di vita il neonato nato preferisce la voce della madre rispetto ad altre voci e questo perché il sistema uditivo si sviluppa molto presto in gravidanza e l’esperienza dell’ascolto della voce materna si presenta molto precocemente nella vita intrauterina.

L’immagine che scaturisce da queste ricerche è quella di un bambino dotato, sin dalla nascita, di un piccolo bagaglio esperienziale della sua vita in grembo e di un’organizzazione percettiva altamente strutturata con cui riesce a selezionare e ricordare l’informazione sensoriale che proviene dall’ambiente.

Il neonato manifesta una serie di preferenze che lo inducono a privilegiare l’ascolto della voce umana rispetto ad altri suoni e quella della madre rispetto ad altre voci, ad osservare i volti umani su altri tipi di forme e col tempo preferirà il volto della madre rispetto ad altri visi mostrando, quindi, una capacità di ricordare presente ancor prima della nascita.

Immaginiamo, dunque, questo piccolino nel grembo materno che per nove mesi si muove, sente rumori, ascolta una voce su tutte che gli parla, sussurra, canta, che ha una sua intonazione, timbro, profondità, viene sollecitato dai movimenti materni, è inondato da stimoli sensoriali  e chimici che formeranno il suo primo nucleo di esperienze il quale, a sua volta darà origine alla personalissima struttura cerebrale e all’inizio dell’attività mentale.

Non solo, ma potremmo dire che le esperienze che il piccolo fa del e nel mondo sono soprattutto esperienze di relazione, eh sì perché quelle preferenze di cui abbiamo parlato sopra possono considerarsi parte di quell’innata predisposizione ad instaurare il legame di attaccamento con le figure adulte, in particolare la madre.

In questa prospettiva appaiono significativi i tentativi di integrazione tra filoni disciplinari diversi. Da una parte, la neurofisiologia si occupa della maturazione delle funzioni sensoriali e motorie e dall’altra, la ricerca psicologica osserva come il feto si mette in relazione con l’ambiente che lo circonda costruendo le precoci relazioni oggettuali proprio attraverso tali funzioni sensoriali.

Per tutta la durata della gravidanza questo insieme di funzioni come la costanza e la ritmicità, dominerà la relazione materno-fetale permettendo alla madre di trasmettere al feto non solo gli elementi del proprio stato biologico, ma anche quelli della sfera emotiva e mentale. La madre, in questo senso, costituisce un importante ambiente psicologico attraverso il quale stabilisce una relazione psicoaffettiva che si pone agli albori della vita mentale.

Abbiamo già parlato, nei precedenti articoli, delle fantasie delle madri in gravidanza relative all’attaccamento verso il loro bambino, delle conversazioni immaginarie accompagnate da gesti come calmare, abbracciare, accarezzare, dei movimenti fetali che, da riflessi involontari assumono sempre più le connotazioni di motricità volontaria che, segnalando alla madre la presenza dell’altro attraverso una sorta di dialogo, favoriscono l’inizio di quella sintonizzazione madre-bambino essenziale per l’esercizio  della funzione materna. 

Alla nascita, le cure materne danno la possibilità al piccolo di percepire la continuità della propria esistenza, dapprima come un unicum con la madre e poi come essere separato. Con le sue cure la madre lo sostiene fisicamente e psicologicamente permettendogli di crescere e differenziarsi dal proprio sé.

Cosicché, le esperienze vissute dai piccoli, quando la vita è ancora a livello intrauterino, entreranno a far parte del proprio corredo esperienziale nella forma di memoria implicita che, anche se non potrà ricordata coscientemente e volontariamente, riemergerà sotto forma di atteggiamenti, immagini, impulsi ad agire, variazioni di umore influenzando il comportamento, la crescita e la futura struttura di personalità.

Mi sono voluta soffermare su queste tematiche proprio per sottolineare quanto l’idea che comunemente si è sempre avuta del neonato sia così distante da quella emersa dagli studi citati.

Il bambino di “oggi”, per così dire, non rispecchia affatto l’immagine di un essere passivo che non ricorda, non recepisce, non interagisce ed è altresì molto suggestivo immaginare che siamo noi adulti a contribuire in modo decisivo alla nascita della vita psichica oltre a quella biologica.

Ogni gesto, movimento, suono, ritmo, ogni espressione o variazione emozionale, ansia inclusa, che si trasmette al feto, si traduce in attivazioni sinaptiche che delineano vie neurali che, a loro volta, modellano la struttura del sistema nervoso che diventa esclusivo di quell’individuo. Tutto ciò, se è illuminante ed intrigante da un lato, dall’altro, pensiamo a cosa accade se le primissime esperienze non sono di accoglienza  ma di rifiuto, se a quel senso di continuità dell’esistere che si instaura tra madre e figlio, si sostituisce un’interruzione della relazione. 

Anche queste esperienze si imprimeranno nella primordiale memoria e daranno forma alla struttura cerebrale che però porterà i segni di un danneggiamento cui occorrerà una riparazione. Ci inoltriamo nel mondo del trauma che non è oggetto di questo articolo, il cui approfondimento, tuttavia, si impone per una migliore comprensione di quel che accade quando un evento traumatico attraversa la vita di un individuo e di come intervenire per limitare le conseguenze.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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