“Il vostro non è un Paese buono”

Nella sua drammatica semplicità questa frase pronunciata dalla compagna di Satnam Singh, il bracciante indiano morto dissanguato in provincia di Latina il 17 giugno scorso è la sintesi migliore per commentare l’accaduto. Com’è noto quel maledetto lunedì una macchina avvolgi-plastica ha tranciato un braccio del lavoratore, causandogli anche una frattura delle gambe.

Il padrone dell’azienda in cui Satnam lavorava al nero lo lo ha caricato su un furgone e scaricato davanti a casa, negandogli quel soccorso tempestivo che gli avrebbe probabilmente salvato la vita.

Se questo episodio nella sua brutalità ha colpito, almeno per qualche giorno l’opinione pubblica, in realtà non è che la logica conseguenza di un sistema   produttiva che si basa sulla riduzione di essere umani a propri ingranaggi di cui liberarsi quando si guastano e non sono più funzionali, “vite di scarto” Insomma. Per “funzionare” meglio e resistere a condizioni di lavoro insostenibili molti lavoratori della numerosa comunità indiana della zone di Latina sono costretti a far ricorso a potenti oppioidi, prescritti e somministrati da compiacenti medici e farmacisti locali  

La frase della giovane Sony, compagna di Satnam, è la miglior risposta anche agli esponenti di un governo   impegnato strenuamente a sminuire la gravità dell’accaduto 

La presidente del Consiglio ha definito casi come questo “atti disumani che non appartengono al popolo italiano”, trascurando il fatto che nel solo settore agricolo operano circa 250.000 lavoratori irregolari che costituiscono circa un quarto della forza-lavoro del settore. Lavoratori che sono definiti invisibili ma che sono tali solo per chi non li vuol vedere.

Insomma, Meloni ha stancamente riproposto il mito autoassolutorio degli “italiani brava gente” che però non regge di fronte alla cruda realtà dei numeri.

 All’opposto però anche il concetto di responsabilità collettiva è accettabile solo se utilizzato in modo appropriato e con gradualità in modo da non sfociare in un “tutti colpevoli, nessun colpevole”. Colpevole è sicuramente in primo luogo un sistema produttivo e distributivo che fonda i propri profitti sullo sfruttamento della manodopera non solo straniera.

Colpevoli sono i politici soprattutto di destra che hanno creato una legislazione tale da costringere tanti lavoratori stranieri alla clandestinità e che alimentano strumentalmente razzismo e xenofobia, tollerando poi lo sfruttamento e la mancanza di diritti di molti di loro in modo funzionale agli interessi di una parte della propria base elettorale.

Ma anche molti esponenti delle attuali opposizioni hanno spesso avallato o almeno tollerato questo stato di cose, rinunciando ad operare per modificarla questa realtà quando avrebbero avuto gli strumenti per farlo.

Responsabili sono in parte i consumatori, soprattutto quelli dotati di un sufficiente potere di acquisto che talvolta non si chiedono se dietro il prezzo eccessivamente basso di un determinato prodotto alimentare non si celi una realtà di degrado e di sfruttamento.

Per comprendere pienamente e incidere su questa situazione è necessario anche descriverla con le parole giuste 

“Padroni” è il nome esatto di chi sfrutta il lavoro dei diseredati a proprio esclusivo interesse, eludendo qualsiasi criterio di dignità umana.

“Omicidio” è il termine esatto per definire le morti dei lavoratori nei tanti casi in cui esse sono causate dalla trasgressione delle più elementari norme di sicurezza.

La richiesta di introdurre il reato di “omicidio sul lavoro” avanzata da varie organizzazioni politiche e sindacali è stata sdegnosamente respinta da un governo troppo impegnato a reprimere i rave party o a perseguitare i ragazzi che protestano per chiedere politiche climatiche più efficaci.

Un rapporto di lavoro pagato in modo miserrimo senza orario e senza alcuna norma di sicurezza a che molti lavoratori non solo stranieri sono costretti accettare si chiama “schiavitù”.

Purtroppo, anche in questo caso esiste il rischio concreto che, passato il momento dello sdegno emotivo tutto rientri nella “normalità” come avviene del resto per i morti alle frontiere dell’Europa che ormai non fanno più notizia. Questi lavoratori, del resto non hanno bisogno della nostra pietà e della nostra indignazione ma di giustizia che nel caso concreto consiste nella loro regolarizzazione e nella conseguente sottoscrizione di contratti di lavoro equi.

Questo sarà possibile con una lotta organizzata che dovrà unire lavoratori immigrati e italiani, non di rado vittime anch’essi di sfruttamento, con il sostegno delle organizzazioni sindacali e delle forze politiche che si dicono progressiste, la cui azione è talvolta risultata debole se non addirittura connivente. Senza lotta e organizzazione non c’è da aspettarsi nulla da un governo che fin dal suo insediamento si è impegnato attivamente a limitare il più possibile i diritti dei lavoratori, interpretati come una limitazione della libertà di impresa.

Libertà di impresa che spesso significa mano libera al padronato criminale a tutto svantaggio degli imprenditori impegnati a fare impresa in modo onesto.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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