L’insediamento israeliano di Ma’ale Adumim è stato fondato nel 1975 come piccolo villaggio ma oggi è diventato una città di 40.000 abitanti.
È uno dei più grandi insediamenti israeliani in Cisgiordania, illegale secondo il diritto internazionale, che ancora una volta le autorità dello Stato ebraico ignorano. Lo scorso 20 agosto il governo israeliano ha approvato il progetto E1 che unirà i quartieri orientali di Gerusalemme con l’insediamento di Ma’ale Adumim, creando così una continuità territoriale che spezzerà in due il territorio palestinese della Cisgiordania, vanificando di fatto la possibilità di realizzare un futuro stato palestinese indipendente. “Lo Stato palestinese viene cancellato dal tavolo, non con slogan ma con azioni” ha esplicitamente dichiarato Smotrich, ministro delle Finanze israeliano. Questo stesso concetto è stato ribadito dal primo ministro Netanyahu al momento della sottoscrizione del progetto. Il piano israeliano prevede la costruzione di 3400 nuove unità residenziali oltre a zone commerciali, industriali e infrastrutture turistiche.
A meno di un chilometro dalla cittadina israeliana è insediata sulla collina da oltre settant’anni una comunità di beduini già scacciati dalle loro sedi originarie nel deserto del Negev, subito dopo la nascita dello Stato di Israele e che ora rischiano di essere nuovamente cacciati.
Il contrasto fra le baracche di latta dei beduini e le asettiche villette israeliane, divise da un reticolato di filo spinato, non potrebbe essere più vistoso. L’attuale progetto israeliano costituisce l’atto finale dell’espansione israeliana in questo territorio che si è protratta incessantemente nel corso del tempo, tanto che Ma’ale Adumim viene soprannominato dai beduini “il coccodrillo” per la voracità con cui nel corso del tempo ha divorato nuove porzioni di territorio. A metà degli anni ’90 l’intera popolazione beduina ricevette un ordine di sgombero che fu in seguito bloccato dalla pressione internazionale. Da allora i beduini hanno vissuto costantemente nel timore di una deportazione che ora si potrebbe concretizzare. La condizione dei circa tre milioni di abitanti della Cisgiordania è di fatto quella di esseri umani che vivono sotto l’arbitrio di una violenta occupazione militare, tanto che nella regione, secondo statistiche dell’Onu, dal 7 ottobre 2023 circa mille palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano.
Le vicende della popolazione beduina di stirpe Jahalin sono strettamente legate a quelle di tutto il popolo palestinese di cui si considerano parte. Il numero di agosto di Forum, una pubblicazione della Chiesa cattolica della Svizzera tedesca riporta la vicenda umana e la testimonianza di Atallah Mazara’a che da decenni combatte per i propri diritti come beduino e come palestinese. Nonostante abbia sempre praticato una resistenza non violenta all’occupazione è stato incarcerato per diversi anni e in una circostanza è stato colpito al petto da un proiettile sparato da un soldato israeliano, sopravvivendo quasi per miracolo.
“Mi auguro, come ogni altro essere umano a questo mondo, una vita sicura per i miei figli. Sulla via della scuola possono imbattersi costantemente nei soldati israeliani mentre nel villaggio incombe il pericolo di aggressioni da parte dei coloni” Atalla Mazara’a ha quattro figli e una figlia, che, come mostrano alcune foto nel suo ufficio, gli sono stat* accanto durante le sue azioni di protesta non violenta. Nonostante siano tutt* impegnat* nello studio e nella formazione sentono che il loro destino è legato alla loro terra che non hanno alcuna intenzione di abbandonare.
La collina in cui vivono non fa solo parte del territorio palestinese ma è anche sotto la giurisdizione della Chiesa cattolica in quanto nel 1964 il re Hussein di Giordania la donò a papa Paolo VI durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa. La collina è denominata infatti “montagna del Papa” e i beduini sono fieri di questa caratteristica che sperano possa costituire per loro una preziosa forma di protezione. L’insediamento beduino non è mai stato ufficialmente autorizzato dalle autorità ecclesiastiche che lo hanno di fatto accettato e non hanno mai fatto mancare il loro concreto sostegno alla piccola comunità.
Dal 7 ottobre 2023 i coloni israeliani, apertamente protetti dall’esercito, si sono fatti anche qui più aggressivi, senza che per gli aggrediti vi sia alcuna possibilità di difesa.
Atallah si oppone sul piano giuridico alla prospettiva di essere di nuovo cacciato, continuando in questo modo la sua opposizione non violenta. Il giurista Itamar Mann, pur convinto della legittimità giuridica del diritto dei beduini a rimanere, dubita del successo della loro protesta visto che la pronuncia definitiva in merito è affidata alla Corte suprema israeliana.
Anche la Comunità internazionale si mostra a parole contraria a questa nuova escalation della politica di occupazione israeliana che di fatto affossa la possibilità di creare uno stato palestinese ma non intraprende alcuna azione concreta per contrastarla, come del resto avviene dal 1967. Questa solitudine non induce Atallah ad arrendersi: “Andrò avanti nella lotta anche se questo dovesse costarmi la vita. Rimarrò su questa collina, sopra o sotto la sua terra”.


