La persecuzione delle minoranze in Cina riguarda anche noi

La regione autonoma cinese dello Xinjiang è una vastissima provincia del Nord Ovest della Cina, ricchissima di uranio e petrolio. Il 46% della popolazione è costituito da uiguri, un gruppo etnico turcomanno, prevalentemente di religione musulmana. Kazaki. kirghisi e tatari, anch’essi in parte di origine turcomanna e prevalentemente musulmani, costituiscono altre minoranze etniche della Regione.

Gli uiguri, il cui nome nella loro lingua significa “alleati”, sono circa 11 milioni e come le altre minoranze sono oggetto di una sistematica persecuzione; gli uiguri sono presi particolarmente di mira per le loro tendenze indipendentistiche e il governo cinese utilizza spesso, specie a partire dall’11 settembre 2001, il pretesto della lotta alla radicalizzazione come giustificazione della sua violenta politica repressiva.

Il 31 agosto del 2022 l’Alto Commissariato per i diritti umani dell’Onu ha documentato    in un dettagliato rapporto gravi violazioni dei diritti umani da parte del governo della Repubblica popolare cinese nei confronti delle minoranze etniche del Xinjiang. Alle stesse conclusioni era giunta, un anno prima, Amnesty international sulla base di un proprio analogo rapporto.

https://news.un.org/en/story/2022/08/1125932

In particolare, il rapporto Onu ritiene credibili le testimonianze sulla pratica sistematica della tortura e di maltrattamenti compresi   trattamenti medici dannosi   e reclusioni arbitrarie in condizioni disumane, violenze sessuali e di genere nei confronti di numerosi membri delle minoranze. Amnesty ha a sua volta documentato  dettagliatamente l’esistenza di cosiddetti  “ campi di rieducazione”, rivelatisi in realtà veri campi di concentramento nei quali  i detenuti, il cui unico “reato” è  quello di appartenere a una minoranza , vengono sottoposti a una serie di maltrattamenti e a un vero e proprio lavaggio del cervello, fatto di un massiccio indottrinamento agli insegnamenti e alle direttive del Partito comunista cinese con l’evidente scopo di annientare le caratteristiche etniche e religiose dei reclusi.

Il numero dei detenuti, a partire dal 2017, potrebbe addirittura superare il milione. Anche   le persone liberate dalla prigionia subiscono limitazioni alla loro libertà mentre continua il processo di sradicamento della loro identità etnica. Il destino di centinaia di migliaia di prigionieri non è conosciuto.

È anche dimostrata la deportazione di molte persone uigure e delle altre minoranze anche al di fuori dello Xinjiang per esercitare forme di vero e proprio lavoro forzato in condizioni schiavistiche in fabbriche, miniere e aziende agricole.Per quanto riguarda il settore dell’industria tessile, secondo un’indagine autonoma dell’Università di Sheffield, il lavoro forzato avviene in aziende che riforniscono noti marchi europei, fortemente sospettati di usufruire di questo lavoro. Questa forma di sfruttamento è poi utilizzata anche in altri ambiti industriali che spaziano dall’elettronica all’ automotive oltre a prodotti che investono processi di transizione energetica; anche in questo caso si tratta di industrie cinesi che intrattengono rapporti commerciali con aziende europee e occidentali.

Una testimonianza personale della condizione delle persone appartenenti alle minoranze dello Xinjiang è giunta con la pubblicazione nel 2021di un libro, tradotto anche in italiano, che documenta la drammatica esperienza personale di Gulbahar HaitiwaJi, una persona di etnia uigura sopravvissuta a un campo di detenzione.

https://www.addeditore.it/catalogo/gulbahar-haitiwaji-e-rozenn-morgat-sopravvissuta-a-un-gulag-cinese/

Nata nello Xinjiang, la donna viveva da diversi anni in Francia ma durante un viaggio nella sua terra di origine, nel 2016, è stata arrestata e reclusa per essere “rieducata”. Le condizioni descritte da Gulbahar confermano   quelle denunciate dai rapporti citati: dormitori sovraffollati e senza materassi, sorveglianza asfissiante, rigidissima disciplina e continuo indottrinamento. Ogni minimo comportamento considerato non conforme viene punito in modo severo. Durante il giorno, nei pochi momenti liberi dalla rieducazione, le detenute vivono in condizioni di completa deprivazione fisica e mentale e in mezzo alla sporcizia. Oltre ai continui maltrattamenti esiste il sospetto che vengano praticate forme di sterilizzazione delle detenute spacciate per sospette vaccinazioni.

Il libro è stato pubblicato grazie all’azione di Gulthumar, figlia di Gulbahar che si è battuta con successo per la liberazione della madre; Gulbahar è potuta ritornare in Francia dopo tre anni di reclusione ma continua a subire le conseguenze psichiche delle sofferenze subite durante la detenzione.  La figlia è tuttora in prima fila per il riconoscimento dei diritti del suo popolo.

 Le autorità cinesi negano la realtà delle persecuzioni e dell’esistenza dei campi; resta il fatto che chiunque osi parlarne   viene fatto oggetto di pesanti minacce a cui possono  far seguito detenzione e maltrattamenti. I rappresentanti delle etnie perseguitate, in particolare degli uiguri, affermano invece apertamente che il governo cinese sta attuando un vero e proprio genocidio. Nonostante tutte queste denunce la comunità internazionale e le stesse Nazioni Unite non hanno nel frattempo preso nessun provvedimento per sanzionare questi crimini che continuano a essere perpetrati.

Come cittadini-consumatori potremmo concretamente attivarci nel richiedere, direttamente o tramite organizzazioni della società civile, garanzie sul fatto che in nessun   livello della filiera dei prodotti che acquistiamo esistano condizioni di lavoro contrarie ai diritti dei lavoratori non solo in Cina ma ma ovunque vi sia il sospetto di situazioni analoghe.

Amnesty continua a raccogliere testimonianze delle sistematiche persecuzioni nella Regione cinese e auspica un nuovo e aggiornato rapporto delle Nazioni Unite e la formazione di un meccanismo investigativo internazionale indipendente in grado di promuovere un intervento incisivo per porre fine alle persecuzioni, punire i responsabili e risarcire le vittime.

Questa richiesta può apparire velleitaria in una fase storica in cui la logica di potenza basata sulla forza sembra mettere in discussione l’esistenza stessa di un diritto internazionale basato sul rispetto dei diritti umani e delle istituzioni preposte al loro rispetto. Si tratta però di una battaglia da cui non è possibile prescindere se vogliamo salvaguardare ed estendere i diritti umani e la stessa democrazia.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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