La povertà non è un reato

“Abbiamo chiamato forza lavoro e sono arrivati esseri umani”; la frase di Max Frisch del 1965 non ha perso nulla della sua attualità in rapporto alla condizione dei lavoratori stranieri – non solo in Svizzera – e può ancora ispirare l’azione di chi, difendendo la dignità di tutti i lavoratori, si batte per una vera integrazione. 

Eleonora Guido che coordina l’Alleanza “La povertà non è un reato” ci spiega i problemi legati alla “Legge federale sugli stranieri e la loro integrazione “in Svizzera e le iniziative intraprese per correggerne alcune evidenti storture.

Le modifiche a tale legge, entrate in vigore l’1.1.2019, prevedono la possibilità di revoca del permesso di domicilio, il cosiddetto permesso C, nel caso che la persona straniera che ne usufruisce o una persona a suo carico sia costretta a ricorrere all’”aiuto sociale in maniera durevole e considerevole”. Questa formulazione lascia ampio margine d’interpretazione alle autorità cantonali competenti, aumentando il rischio di una disuguaglianza di trattamento da un Cantone all’altro. Dal gennaio 2019 è stata inoltre eliminata la minima protezione che veniva garantita alle persone che risiedevano in Svizzera da più di 15 anni, che non potevano più essere espulse dal Paese in caso di ricorso agli aiuti sociali.

Questi inasprimenti significano concretamente che una persona domiciliata in Svizzera, magari da decenni, può correre il rischio, se viene a trovarsi involontariamente in precarie condizioni economiche, di vedere trasformato il permesso di domicilio in un permesso di soggiorno temporaneo con il conseguente percolo di espulsione dal Paese qualora non sia in grado di trovare, in genere entro un anno, una nuova occupazione economicamente adeguata. Possono essere colpite anche persone che hanno contratto matrimonio con cittadini svizzeri e hanno figli con passaporto elvetico, con conseguenti dolorosi smembramenti familiari. 

Allo stato attuale non è possibile determinare quante persone abbiano subito il declassamento del proprio permesso di domicilio per aver fatto ricorso all’assistenza sociale in quanto i Cantoni non forniscono alla Segreteria di Stato della migrazione dati disaggregati che consentano   di quantificare l’impatto delle nuove disposizioni. Ma i numeri da soli non dicono quale forma di terrorismo psicologico sia determinato dall’esistenza stessa delle nuove disposizioni che oltretutto, come abbiamo visto, si prestano a interpretazioni difformi.

Sembra che le persone più colpite siano donne con una scarsa formazione e con figli a carico, spesso divorziate e quindi costrette a dividersi fra la famiglia e il lavoro e impegnate in attività precarie e che, se perdono il lavoro, hanno notevoli difficoltà a trovarne un altro. In altri casi si tratta di uomini sopra i 50 anni, usciti dal mondo del lavoro a seguito di incidenti (ad esempio incantiere), a cui vengono riconosciute inabilità al lavoro solo parziali.

Gli eventuali ricorsi, da presentare a livello cantonale, sono lunghi e costosi sia per chi li inoltra sia per le amministrazioni che li devono esaminare.

 Un effetto deleterio della legge può essere inoltre la rinuncia a usufruire dell’assistenza anche da parte di chi ne avrebbe bisogno o il ricorso al lavoro nero e la sottrazione del tempo dedicato alla famiglia. La pandemia aggrava la situazione, sia dal punto di vista sanitario sia per i problemi che crea sul mercato del lavoro, specie per le attività che richiedono un livello minore di qualificazione professionale.

L’osservazione di tutte le criticità sopra esposte e l’urgenza di porvi rimedio hanno indotto la deputata socialista Samira Marti a presentare il 18 giugno dello scorso anno un’iniziativa parlamentare che ha riscosso l’appoggio di molti parlamentari del centro e della sinistra. L’iniziativa propone che “uno straniero che ha soggiornato legalmente in Svizzera per più di dieci anni consecutivie che sia costretto, da circostanze indipendenti dalla propria volontà, a richiedere gli aiuti sociali, non possa per questo subire conseguenze che minaccino la sua stessa permanenza nel Paese.

Al momento della presentazione dell’iniziativa, le forze che la appoggiano tentarono di dare alla stessa un’adeguata risonanza mediatica, senza tuttavia ottenere risultati apprezzabili. Per questo è nata l’Alleanza “La povertà non è un reato” a cui hanno aderito in poco tempo circa ottanta organizzazioni sociali, sindacali, politiche che hanno promosso una petizione a sostegno dell’iniziativa parlamentare raccogliendo 12800 firme nell’arco di un paio di settimane. L’Alleanza svolge inoltre una continua opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica elvetica, anche attraverso la denuncia dei casi di persone straniere che subiscono sulla loro pelle le conseguenze delle norme attualmente in vigore. È questo anche il modo più efficace per reagire all’attacco complessivo che la destra sta conducendo alle condizioni dei lavoratori stranieri, sull’onda del clima politico venutosi a creare dopo l’approvazione, nel 2014, dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”.

Il successo parlamentare dell’iniziativa di Samira Marti costituirebbe un’inversione di tendenza e un freno a nuove restrizioni dei diritti di una consistente fascia di lavoratori.

L’iniziativa verrà discussa a fine maggio nella Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale e in caso di approvazione arriverà in Parlamento.

Una migliore integrazione degli stranieri che vivono in Svizzera passa dunque per una difesa e un ampliamento dei loro diritti. Le forze democratiche svizzere e le associazioni degli stranieri sono chiamate a sostenere in modo compatto il successo dell’iniziativa parlamentare, prendendo coscienza che quando si difendono i diritti di una parte della popolazione si difendono i diritti di tutti.

Chi desidera firmare la petizione può farlo qui:

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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