La Svizzera al voto

Il 22 ottobre gli elettori svizzeri sono chiamati alle urne per rinnovare le due Camere del Parlamento nazionale per una legislatura della durata di quattro anni.

Il Consiglio nazionale è composto da 200 membri e viene eletto con il sistema proporzionale.

Ogni Cantone, che di fatto all’interno della Confederazione ha molte delle prerogative statali, costituisce una circoscrizione elettorale che elegge un certo numero di parlamentari a seconda della popolazione.

Il Consiglio degli Stati è composto da 46 membri, due per ciascuno dei venti cantoni e uno per ciascuno dei semi cantoni, eletti con il sistema maggioritario.

Il Consiglio degli Stati, dunque è concepito in modo da riequilibrare il peso politico dei Cantoni meno popolosi rispetto all’altro ramo del Parlamento; il Canton Uri, ad esempio, che ha meno di quarantamila abitanti, elegge un solo consigliere nazionale contro i 36 del cantone di Zurigo che ha circa un milione e mezzo di abitanti mentre nel Consiglio degli Stati entrambi i Cantoni hanno diritto a eleggere due rappresentanti.

La Svizzera ha un sistema di bicameralismo perfetto per cui ogni provvedimento legislativo deve essere approvato da entrambe le Camere.

I rappresentanti delle nuove Camere in seduta congiunta eleggeranno poi i sette rappresentanti del Consiglio Federale, l’organo esecutivo della Confederazione.

Tale elezione è frutto dell’accordo fra i partiti rappresentati in Parlamento secondo la cosiddetta formula magica, che assegna due consiglieri a ciascuno dei tre partiti principali e uno a un partito minore. La democrazia svizzera è perciò considerata, per le modalità di elezione dell’esecutivo e per il modo in cui esso agisce, una democrazia consociativa.

Questo non significa che non esista una dialettica politica ma essa avviene con modalità diverse rispetto ad altre democrazie e tenendo conto anche del fatto che l’elettorato è continuamente interpellato, tramite referendum e iniziative a livello locale e nazionale, sulle più diverse materie politiche nelle quali non di rado assume decisioni diverse e vincolanti rispetto alle istituzioni elettive. Il sistema politico svizzero ha tradizionalmente un forte livello di stabilità, a cui ha fatto in parte eccezione l’esito delle precedenti elezioni politiche nazionali in cui si è verificata una forte avanzata dei partiti ecologisti, a danno soprattutto dell’Udc, il maggior partito di destra; si tratta ora di verificare se e come questa tendenza verrà confermata mentre il Partito Socialista è chiamato a sua volta a invertire un trend elettorale negativo.
I due maggiori partiti di sinistra (Partito Socialista e Verdi) mettono in primo piano questioni legate alla giustizia climatica e alla transizione energetica, alla parità fra i generi e all’estensione dei diritti.

Nello specifico soprattutto il Partito socialista si batte inoltre   per un intervento sui costi della sanità; in Svizzera l’assistenza sanitaria è totalmente gestita   da compagnie assicurative private che impongono ai cittadini tariffe sempre più insostenibili, mentre l’intervento pubblico si limita ad alleviare, a carico della fiscalità generale, le situazioni più difficili.

La questione si pone poi all’interno del problema più generale della lotta al carovita, trainata da un’inflazione più bassa che nei Paesi Ue ma pur sempre pesante per i ceti più deboli impegnati a difendere, con il sostegno dei sindacati, il potere d’acquisto di salari e pensioni.

Rilevante anche il problema abitativo, soprattutto nelle città, dove le case spesso scarseggiano, in un Paese in cui i proprietari sono una netta minoranza e dove i prezzi degli affitti sono in continua crescita.

La destra, in sintonia con quello che avviene in tutta Europa, punta, con una feroce campagna xenofoba. ad agitare il tema dell’immigrazione vista come responsabile di ogni male, comprese le questioni legate all’ambiente e alla sicurezza che sarebbero aggravate dalla presenza di troppi stranieri.

Vengono prese di mira tutte le categorie di stranieri, dai richiedenti asilo agli stagionali e ai frontalieri, agitando anche la minaccia   di imporre una limitazione generale alla presenza straniera stabile che attualmente ammonta a circa un quarto della popolazione.

La presenza di un così alto numero di stranieri residenti stabilmente, anche da molti anni, pone un problema di democrazia in quanto essi, salvo che in alcune limitate situazioni locali, non hanno diritto di voto e quindi non possono concretamente incidere a nessun livello, sulla vita politica del Paese, comprese naturalmente le decisioni che li riguardano. È stata avviata in proposito un’iniziativa a livello federale la cui approvazione faciliterebbe l’acquisizione della cittadinanza per gli stranieri residenti stabilmente.

La risposta a questo attacco della destra, soprattutto in materia di richiedenti asilo, è piuttosto debole e impacciata, efficace talvolta nell’intervenire in casi specifici ma non in grado di elaborare un’incisiva politica complessiva sul tema; questo riflette, del resto una difficoltà di tutte le forze democratiche europee che non riescono a proporre in materia  politiche efficaci, rispettose dei diritti umani e sovranazionali.

Su questi temi e in generale su quelli dei diritti, nel loro complesso, i Verdi e i giovani socialisti manifestano una sensibilità particolarmente accentuata. Sono presenti anche altre liste minori di sinistra che non sembrano tuttavia in grado di raccogliere i voti necessari per accedere a una delle due Camere.

I nuovi organi eletti dovranno far fronte all’impegno costituito dal fatto che la Svizzera sarà ancora, per tutto il 2024, membro provvisorio del Consiglio di sicurezza dell’Onu; è auspicabile che il Paese possa dare il suo pur modesto contributo ad una schiarita in una realtà internazionale sempre più densa di nubi.

Parlamento e Governo federali dovranno definire in modo nuovo il proprio rapporto con l’Unione europea, dopo il fallimento delle trattative per il cosiddetto accordo quadro, un’intesa   istituzionale complessiva su cui le due parti intendevano   basare le   intense e reciproche relazioni economiche. Si tratterà di decidere se continuare le trattative per superare le divergenze su tale accordo o proseguire sulla via di complessi e faticosi accordi bilaterali sulle singole questioni.

L’invasione russa dell’Ucraina presenta poi problemi particolari per un Paese neutrale come la Svizzera che ha aderito alle sanzioni contro il governo di Putin.

Al  riguardo viene avanzato da più parti il sospetto che alcuni  oligarchi russi, in teoria colpiti  in modo radicale dalle sanzioni, conservino tuttora l’accesso a beni custoditi nelle banche elvetiche. Il pieno rispetto della neutralità svizzera vieta di vendere   armi a uno solo dei   Paesi in guerra; nel caso specifico, non essendo in alcun modo previsto di vendere armi alla Russia, nemmeno l’Ucraina potrà essere rifornita di armi svizzere. Questo divieto si estende anche alla cessione all’Ucraina di armi svizzere acquistate da Paesi terzi.

In modo trasversale sono emersi dubbi e opinioni diverse, anche per pressioni da parte della Nato e dell’UE, sull’opportunità o meno    di applicare in modo rigoroso, quest’ultima norma.

 Il conflitto in atto non fa in sostanza che mettere in luce un problema più generale di collocazione internazionale della Confederazione.

Nello specifico si è creata una divisione trasversale fra chi intende mantenere in modo rigoroso e rafforzare la neutralità svizzera e chi invece, tenendo conto della natura del conflitto in atto, propone un maggiore sostegno, anche militare, all’Ucraina.

Sarebbe opportuno, tuttavia tenere conto anche del fatto che nel 2022 la Svizzera ha esportato armi per un valore complessivo superiore al miliardo di dollari in sessanta Paesi con un aumento di un terzo rispetto all’anno precedente e toccando il livello più alto mai registrato.

L’importanza delle questioni in gioco rende auspicabile una maggiore partecipazione degli elettori dato che alle precedenti consultazioni nazionali l’astensione ha superato il 50%.

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Ascolta l’intervento a Radio Mir di Alessandro Vaccari e Laura Riget

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