… nella doppia accezione del termine
La prima implica un forte legame sentimentale con i libri e ciò che rappresentano e non richiede di essere spiegata a chi li ama, la seconda rimanda invece alla sofferenza legata alla necessità di disfarsi di una parte dei propri libri.
Per motivi di spazio sono attualmente costretto a liberarmi di una discreta quantità dei libri in mio possesso. In tempi relativamente recenti il parziale ricorso agli ebook ha in parte limitato la massa cartacea che continua ad affluire in casa mia ma questo non risove il problema creatosi nel corso del tempo.
Disfarsi di una parte dei propri libri si sta rivelando un’operazione complessa e impegnativa da vari punti di vista. Prima di tutto mettere mano alla propria biblioteca significa rivisitare le varie fasi della propria esistenza. Si potrebbe quasi dire; “Dimmi che libri compri e (in parte leggi) e ti dirò chi sei e anche un po’ chi vorresti essere” ma anche come sei cambiato e ti sei trasformato nel corso del tempo.
Il mio piccolo patrimonio librario è composto soprattutto da saggistica su argomenti di vario genere mentre le opere di narrativa occupano un ruolo (e di conseguenza uno spazio) secondario.
Il periodo postuniversitario corrisponde alla fase enciclopedica caratterizzata dall’acquisizione di sterminati compendi dello scibile umano che mi avrebbero accompagnato per l’eternità o almeno questa era la mia illusoria percezione di allora. Col tempo ho capito che anziché pretendere di perseguire un impossibile sapere onnicomprensivo era molto più sensato di volta in volta far ricorso a spezzoni di questo immenso patrimonio di conoscenze con l’acquisto di opere a spettro più limitato. Oltretutto, nell’epoca di Internet le enciclopedie e perfino i dizionari risultano le opere più obsolete; viene da pensare se questo sia un progresso in assoluto ma questo è un altro discorso.
La mia bibliotechina ha un carattere eclettico (dispersivo?) che rispecchia il mio carattere.
Tuttavia, sono rintracciabili, nel corso del tempo, dei filoni di continuità nei miei interessi di tipo soprattutto storico-politico. Insieme a questo risulta facile individuare effimere passioni culturali legate a questo o a quel periodo; a volte sono indotto all’ autocritica e mi pongo il problema del perché mai ho acquistato e magari letto quel certo libro che oggi non prenderei nemmeno lontanamente in considerazione ma scaccio questo pensiero in fondo ingiusto perché forse si matura anche così.
In questa complicata opera di cernita mi imbatto in qualche testo che oltre al suo valore intrinseco ne ha uno aggiunto legato alla persona che me l’ha regalato e alla circostanza in cui l’ho acquistato; tutto questo naturalmente rende impossibile disfarmene.
A volte mi chiedo che senso ha aver acquistato una quantità di libri che non farei in tempo a leggere nemmeno se vivessi centocinquant’anni ma mi consolo ricordando di aver letto da qualche parte la teoria, non so quanto strampalata, secondo cui acquisire più testi di quanto sia umanamente possibile leggere sia segno di intelligenza e quindi mi consolo coltivando questa illusione. O forse questo atteggiamento nasconde, come nella fase postuniversitaria, un malcelato desiderio di immortalità.
Ogni tanto a dire il vero vengo colto dalla tentazione ascetica di un ritiro domestico dedicato a un recupero del non letto ma questa tentazione cede a quella ancora più forte di tenermi al passo con le novità continuamente sfornate dal mercato editoriale.
C’è comunque da dire che in questa ricognizione forzata di tutto il mio patrimonio librario talvolta mi capita un libro non letto a suo tempo ma che ora impone la sua presenza e induce a una lettura tardiva. Va da sé che maneggiare e sfogliare i libri di una vita rende quest’operazione di selezione particolarmente lenta e laboriosa, interrotta dalla continua voglia di leggiucchiare in qua e in là.
I libri vengono dunque suddivisi in tre categorie; quelli da conservare, quelli da (tentare di) regalare e quelli ahimé! da affidare al riciclo.
Ovviamente il mio massimo desiderio sarebbe che i libri che secondo me conservano un valore conoscessero una seconda vita e mi propongo di regalarne il più possibile a qualche istituzione pubblica quali biblioteche comunali, scolastiche o enti privati.
Buttare via un libro è infatti l’ultima dolorosa opzione talvolta inevitabile per libri irrimediabilmente datati o per testi scolastici accumulati nella mia carriera di insegnante; si tratta nel secondo caso di testi l che ho effettivamente adottato nelle mie classi e di altri che mi sono stati appioppati spesso contro la mia volontà da speranzosi rappresentanti editoriali.
C’è da dire che la citata suddivisione è fluida e in continua mutazione soprattutto nel senso s che spesso uno dei libri scartati viene promosso sul campo a libro da conservare e sono sicuro che alla fine i libri eliminati saranno troppo pochi e in un futuro prossimo sarà necessario procedere a un nuovo sfoltimento.
Nel frattempo, ho iniziato a prendere contatti con vari enti e associazioni a cui donare testi ancora fruibili e questa si sta in realtà rivelando la più grande frustrazione.
In un primo momento ho pensato di regalare soprattutto narrativa al carcere cittadino ma il contatto telefonico ha subito chiarito l’impossibilità di questa operazione; viene da pensare che forse qualche solerte funzionario carcerario ha equivocato sul concetto di letteratura come evasione.
Per quanto riguarda le scuole a cui regalare libri per ragazzi, una volta preso contatto con difficoltà di questa o di quella scuola media inferiore sono state sollevate una serie di obiezioni; i libri devono essere corrispondenti ai gusti dei ragazzi moderni ( e io che pensavo che certi testi classici superassero le barriere temporali!) e possibilmente essere corredati il più possibile di illustrazioni: morale della favola le trattative sono ancora in corso
La biblioteca cittadina ha opposto un cortese diniego alla mia offerta mentre quella di un paese limitrofo ha espresso un timido e condizionato interesse.
Credo che la battaglia per salvare il numero maggiore possibile di libri dalla distruzione, che fa di me quasi un modesto epigono del protagonista di Fahrenheit 451, sarà ancora lunga e richiederà pazienza ma io non mi arrendo al triste destino di complice della distruzione di libri ancora fruibili.
Un po’di tristezza mi assale nel riflettere su quanto l’oggetto libro sia così poco apprezzato di questi tempi.
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