Mattmark è il nome dellla diga edificata fra 1960 e il 1967 nella valle di Saas, nel Cantone svizzero del Vallese. Ma il nome di Mattmark è indissolubilmente legato alla tragedia avvenuta nel 1965 durante la realizzazione dell’opera.
La diga di Mattmark, la la più grande d’Europa di questo genere fu realizzata in terra battuta; l’appalto dei lavori fu affidato nel 1954 alla multinazionale Elektro-Watt, con sede principale a Zurigo. Il progettò suscitò fin da subito perplessità riguardo alla stabilità del terreno e alla decisione di utilizzare per la sua costruzione materiale morenico, la cui estrazione avrebbe comportato escavazioni e l’uso di materiali esplosivi.
Inoltre, la diga sorge ai piedi del ghiacciaio di Allalin, che già in passato aveva dato segnali di instabilità. Nel 1929 erano state infatti costruite opere di protezione e nel 1949, in circostanze analoghe a quelle verificatesi nel 1965, erano morte dieci persone. Gli interessi in gioco per la costruzione della diga erano tuttavia talmente grandi che ogni ragionevole precauzione fu colpevolmente ignorata.
La realizzazione della diga si collocava all’epoca in un momento di radicale trasformazione della Svizzera, da realtà rurale con un passato di emigrazione a Paese che stava conoscendo un vorticoso sviluppo industriale, attirando mano d’opera dal Sud Europa, in primo luogo dall’Italia. La diga di Mattmark fu appunto concepita per contribuire a soddisfare il crescente fabbisogno energetico del Paese, allora affidato in primo luogo all’energia idroelettrica, prima dell’introduzione e lo sviluppo dell’energia atomica. I tempi stabiliti per l’edificazione della diga erano alquanto stretti e questo indusse l’impresa appaltatrice, con la complicità del locale ispettorato del lavoro, a svariate deroghe riguardo alle misure di sicurezza; oltre a turni di lavoro massacranti cui i lavoratori erano sottoposti, proprio nel 1965 le baracche in cui alloggiavano molti dei lavoratori, nonché quelle che ospitavano la mensa e le attrezzature di lavoro furono poste, per risparmiare tempo, proprio sotto la lingua del ghiacciaio,
Nella settimana precedente la sciagura precipitarono a valle varie tonnellate di ghiaccio ma questi segni premonitori furono totalmente ignorati. Il 30 agosto del 1965 circa due milioni di metri cubi di pietra, ghiaccio e terra si staccarono dal ghiacciaio e si abbatterono sul cantiere sottostante, causando la morte di 88 persone, in gran parte operai stagionali italiani.
Nel sessantesimo anniversario della tragedia la storica zurighese Elsabeth Joris ha pubblicato un saggio che fa emergere alcuni aspetti poco approfonditi della vicenda.
https://rotpunktverlag.ch/buecher/mattmark-1965
Questo è stato possibile anche grazie alla pubblicazione, avvenuta solo nel 2022, degli atti dei processi che avrebbero dovuto accertare le responsabilità dell’accaduto ma che si conclusero invece senza alcuna condanna, nonostante l’evidenza di pesanti responsabilità. Al riguardo, nella cerimonia commemorativa svoltasi nei giorni scorsi nell’anniversario della tragedia, Mathias Reynard, presidente dell’esecutivo del Canton Vallese, ha riconosciuto le responsabilità delle autorità cantonali del tempo nell’intera gestione della catastrofe, sia per l’assenza delle necessarie forme di collaborazione e di assistenza ai parenti delle vittime, sia per la gestione poco trasparente delle vicende processuali. Al termine del processo di appello le famiglie delle vittime che avevano fatto ricorso alla prima sentenza, dovettero addirittura pagare metà delle spese processuali
Elisabeth Joris sottolinea nel suo saggio la necessità di considerare da un nuovo punto di vista, oltre a Mattmark, altre grandi opere che hanno caratterizzato la nascita della Svizzera odierna: di esse si ricordano in genere, da parte svizzera, gli ingegneri che ne hanno diretto la costruzione o si celebra la grandiosità delle opere e il trionfo della modernità tecnologica del Paese, trascurando di ricordare l’impegno e il sacrificio di molti lavoratori in gran parte stranieri. La costruzione del primo tunnel ferroviario del Gottardo, avvenuta fra il 1872 e il 1880 costò la vita, secondo i dati ufficiali, a 199 persone, in gran parte provenienti dalle regioni dell’Italia del Nord. La causa principale di questa vera e propria strage è riconducibile alle disumane condizioni di lavoro e all’assenza di adeguate misure di sicurezza,
Anche nel caso di Mattmark la ditta costruttrice attribuì invece subito l’incidente a una tragica fatalità e pretese di riprendere i lavori addirittura il giorno successivo a quello della disgrazia che fu invece dedicato alla difficile opera del recupero di cadaveri che si concluse nel 1967, anno in cui l’edificazione dell’opera fu ultimata.
Da parte italiana la memoria di Mattmark è ancora viva, soprattutto nella zona del bellunese da cui proveniva la maggior parte dei lavoratori italiani morti, accompagnata dall’amarezza per il mancato riconoscimento delle responsabilità, vissuto come ulteriore oltraggio alle vittime.
Un altro aspetto messo in luce dalla storica è il ruolo delle donne nella realizzazione della diga che non è mai stato valorizzato: alcune, in gran parte italiane e svizzere, fornirono i servizi essenziali per la vita degli operai e due di esse persero la vita nella tragedia. Altre erano impiegate nel settore amministrativo del cantiere ma non bisogna nemmeno dimenticare il lavoro delle donne che, nei luoghi di origine dei lavoratori stranieri ma anche nelle località svizzere vicine al cantiere, sostituirono gli uomini nei lavori agricoli.
Vasco Pedrina, ha collaborato al saggio di Elizabeth Joris, sottolineando la svolta impressa dalla alla politica sindacale svizzera dalla riflessione sulla tragedia di Mattmark. Fondamentale fu a questo proposito l’opera di Enzo Canonica, allora responsabile dei lavoratori esteri della Federazione dei lavoratori e dell’edilizia e del legno, che si batté prima nel sindacato e poi nel Parlamento federale per un riconoscimento dell’importanza del lavoro straniero all’interno della società svizzera. Canonica fu innanzitutto in prima fila nel sostegno alle famiglie delle vittime e si batté in seguito con successo per il miglioramento delle condizioni di sicurezza dei lavoratori sul piano legislativo e nella realtà quotidiana del lavoro nei cantieri. Lo stesso Canonica riuscì nel tempo a convincere gli ambienti sindacali che l’immigrazione in Svizzera non era un fenomeno transitorio ma costitutivo della nuova realtà del Paese e fece della presenza e della difesa dei diritti dei lavoratori stranieri un elemento di forza delle organizzazioni sindacali. Per raggiungere questo risultato dovette affrontare con successo resistenze anche di tipo xenofobo perfino di talune strutture sindacali.
Il fatto che oggi i lavoratori stranieri sono largamente presenti a ogni livello anche dirigenziale nei sindacati svizzeri è frutto dell’ispirazione sindacale di figure come Canonica. Oggi la battaglia contro la xenofobia e il razzismo è ancora attuale ma riguarda soprattutto la base dei lavoratori anche sindacalizzati, talvolta sensibili alla propaganda demagogica di una destra aggressiva che vorrebbe attribuire ai lavoratori stranieri la responsabilità dei problemi sociali irrisolti del Paese.
A distanza di sessant’anni Mattmark vive dunque non solo nel ricordo ma anche nella realtà della società svizzera di oggi.