Per un nuovo antifascismo

Un’inquietante ironia della storia fa sì che esattamente cento anni dopo la marcia su Roma, entri in carica in Italia il governo più a destra dell’Italia repubblicanaNessuno dei partiti che compongono la nuova maggioranza ha mai mostrato una chiara fisionomia antifascista, anzi.

Presidente del Consiglio sarà Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, partito che non ha mai rinnegato i propri legami con l’eredità fascista ben rappresentati dal simbolo dello stesso partito. La stessa Meloni ha sempre fatto riferimento a   una semplice distanza cronologica dal regime di Mussolini, senza mai metterne radicalmente in discussione i fondamenti ideologici e politici.

La Lega, a sua volta, soprattutto sotto la guida di Salvini, ha progressivamente fatto proprie posizioni analoghe e accoglie nelle proprie fila, anche in posizioni di rilievo, neofascisti dichiarati.

La stessa Forza Italia è guidata da quel Berlusconi che per primo sdoganò politicamente e culturalmente l’estrema destra portandola al governo e quindi in questo caso al massimo possiamo parlare di una forza politica afascista.

Questo significa che dobbiamo attenderci l’arrivo delle camicie nere e la progressiva soppressione di ogni libertà civile e politica in analogia con il ventennio mussoliniano? Direi di no.

Dobbiamo comunque preoccuparci per le sorti della democrazia italiana? Direi proprio di sì.

In analogia con altre situazioni in cui forze di estrema destra sono salite al potere, non è imminente nessun colpo di stato ma esiste la concreta minaccia di una corrosione dall’interno della qualità della democrazia italiana. Gli esempi di questa possibile involuzione sono, tanto per restare in Europa, la Polonia e l’Ungheria, Paesi non a caso ripetutamente citati come modelli dai principali leader della coalizione governativa, ora che gli eventi bellici hanno reso più controversa  l’ammirazione per la Russia di Putin, tuttavia non del tutto tramontata.

Chi si oppone a questa deriva farebbe però bene a non inveire, come spesso avviene, contro l’ignoranza degli elettori apparsi in gran parte evidentemente indifferenti all’inquietante pedigree delle forze che hanno stravinto le elezioni e a qualsiasi richiamo all’antifascismo storico.

Appare invece fondamentale tentare di inquadrare il contesto socioeconomico non solo italiano ma globale in cui tutto questo avviene.

Dopo il crollo dei fallimentari regimi del socialismo reale, il modello occidentale, basato sul connubio fra democrazia liberale e mercato, nato nel secondo dopoguerra, sembrava aver trionfato in modo irreversibile.  Il politologo statunitense Fukuyama arrivò a teorizzare la fine della storia, intendendo   con questo l’impossibilità delle vicende umane di svilupparsi oltre questo modello considerato immodificabile e auspicabile, in quanto apparentemente portatore di libertà e benessere universali e permanenti.

Quando questo connubio si è inceppato per i limiti mostrati dalla globalizzazione neoliberista le forze economiche dominanti hanno cominciato a considerare “improduttive” le forme più avanzate di democrazia.

Nel 2013 l’influente banca d’affari Jp Morgan lamentava ad esempio la forte influenza di “idee socialiste” nelle costituzioni antifasciste di alcuni Paesi europei e ne auspicava il superamento in vista di un libero dispiegamento degli “spiriti animali “del capitalismo.
L’accettazione totale di un assetto socioeconomico ormai incapace di proporre benessere e democrazia, anche da parte delle tradizionali forze del riformismo socialdemocratico, ha chiuso la strada  alla prospettiva stessa  di alternative in grado di difendere gli interessi economici soprattutto delle classi popolari. Le forze progressiste, tradizionale referente dei ceti popolari, non sono apparse in sostanza in grado di proporre alternative rispetto a una condizione di impoverimento che ha investito  anche settori consistenti dei ceti medi.

La fine della storia, ipotizzata come punto saliente di evoluzione umana giunta a un livello di presunto progresso ottimale, si è trasformata sempre più, per ampi strati della popolazione, nell’incubo di un immutabile presente di crescente miseria e oppressione. L’estrema destra postfascista ha saputo conquistare un vasto consenso popolare proprio in questa situazione di divorzio fra sviluppo del mercato e crescita generalizzata del benessere e della democrazia e di fronte all’incapacità delle forze progressiste di individuare un’alternativa allo statu quo.

 La destra radicale si è posta come forza antisistema, riproponendo in realtà, in forma aggiornata, tutti i caposaldi del pensiero reazionario basato sull’esaltazione delle diseguaglianze e delle discriminazioni presentate come fenomeni naturali e quindi ineliminabili. L’apparente sbocco della crisi e l’illusione di un possibile futuro in tal modo prospettati sono per molti versi un ritorno al passato riverniciato di nuovismo, funzionali alle forze economiche più regressive in una situazione di ripiegamento nazionalistico.

A questa regressione reazionaria è necessario opporre un nuovo, incisivo antifascismo che non rinneghi i valori della Resistenza ma sia in grado di innestarli nella realtà di oggi, partendo proprio dei principi egualitari enunciati in Italia dalla Costituzione antifascista che devono ispirare l’azione politica delle forze progressiste. Se la democrazia non è accompagnata dalla difesa delle condizioni di vita e della lotta alle diseguaglianze diventa un vuoto simulacro utile solo a mascherare profonde ingiustizie sociali.

Proporsi di attuare concretamente i principi egualitari della Costituzione antifascista, anziché limitarsi   ad enunciarli retoricamente, come oggi spesso avviene, può indicare le linee generali di un’azione politica efficace   per contrastare l’onda nera che si abbatte sull’Italia e può altresì contribuire a una   riscossa  democratica anche al di fuori dei confini nazionali.

Abbiamo bisogno di un’idea di futuro come via di uscita dalle diseguaglianze del neoliberismo ma anche antitetica alla distopia reazionaria che le destre tentano di realizzare in Italia e nel mondo.

 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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