Riarmo europeo e minaccia russa

I paesi dell’Unione europea sono impegnati in un un piano denominato Readness 2030, un massiccio programma di riarmo in gran parte nell’ambito della Nato, che nei prossimi anni impatterà pesantemente sulle condizioni di vita di cittadini europei.

I fondi necessari per questo programma, al di là delle rassicurazioni dei vari governi, stanno già sottraendo risorse ai servizi sociali dei vari Paesi nonché alle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici e all’aiuto ai Paesi in via di sviluppo. Inoltre, questa politica accresce un debito pubblico già pesantissimo per alcuni Paesi che poi in qualche modo dovrà essere ripianato con presumibili nuove pesanti ricadute sulle condizioni di vita dei ceti popolari.

Anche se viene propagandato come un programma di indipendenza dagli Usa e di rafforzamento della difesa comune europea, Readness 2030 prevede in gran parte investimenti attuati dai singoli Paesi con scarso coordinamento fra loro e conseguente dispendio di mezzi finanziari e con una ridotta efficacia.

È evidente che il programma europeo cela maldestramente un distorto programma di rilancio economico, basato soprattutto sul rafforzamento dei singoli eserciti e a vantaggio delle industrie nazionali delle armi. La motivazione principale dichiarata ufficialmente per giustificare questo sforzo  è la minaccia costituita soprattutto dalla Russia di Putin, oggi impegnata nell’aggressione all’Ucraina, domani considerata un pericolo per l’Intera Europa. 

 Prendere in considerazione   la realtà di tale minaccia, cosa che una parte del pacifismo europeo fa in modo inadeguato, non significa accettare le modalità del riarmo europeo, al contrario contrastarle in modo più concreto e realistico. La Russia di Putin è indubbiamente un pericolo reale, prima di tutto per i Paesi confinanti.

Quando Putin sostiene che la più grande disgrazia del ventesimo secolo è stata la dissoluzione dell’Unione Sovietica, di cui pure fu solerte funzionario, non mostra nostalgia per il regime comunista, quanto piuttosto per la grande Russia che comprendeva territori ora diventati indipendenti per volontà popolare. Questa visione permette all’autocrate russo di tenere insieme in un continuum storico, dal suo punto di vista non contraddittorio, la figura di Pietro Grande e quella di Stalin. Ai territori dell’ex Unione Sovietica, in primo luogo l’Ucraina ma anche tutte le altre repubbliche che se ne sono staccate dopo il collasso del regime comunista, non viene riconosciuto di fatto il diritto all’indipendenza.

Ecco perché l’invasione dell’Ucraina ha messo in allarme le repubbliche baltiche ma anche la Moldova e la Georgia mentre la Bielorussa è stata trasformata con la forza in uno stato vassallo del Cremlino.

Il resto dell’Europa e in particolare l’Unione europea non pare al momento essere oggetto di mire di conquista diretta; tuttavia, per la sua intrinseca debolezza, accresciuta dalle politiche di Trump, l’Unione è fatta oggetto di minacce, episodi di guerra ibrida e diffusione di fake news destabilizzanti, anche attraverso organizzazioni e partiti amici debitamente finanziati dal despota russo. Il disegno di Putin potrebbe essere quello di una riconquista o almeno un controllo, sul modello bielorusso, di alcuni territori ex sovietici e un sostanziale assoggettamento politico del resto dell’Europa, accettato dalle altre grandi potenze nel quadro di una nuova definizione delle zone d’influenza,

Sul piano del riarmo si può senz’altro affermare che la Russia si sta rapidamente trasformando in un’economia di guerra con un impegno che trascura pesantemente gli aspetti civili e sociali. Nel 2025 le spese militari hanno raggiunto il 6,5% del Pil a cui si è fatto fronte anche con un aumento dell’imposizione fiscale sia diretta che indiretta oltre che con la nazionalizzazione di imprese considerate ostili. Rispetto al 2021 le spese per l’esercito sono triplicate e in prospettiva si prevede un ulteriore incremento nei prossimi anni, con un programma di rafforzamento militare che va oltre   la contingenza della guerra ucraina. A questo. va aggiunto che la Russia può contare su ampie possibilità di reclutamento di truppe.

Dunque, i Paesi europei hanno fondati motivi per sentirsi minacciati e una legittima aspirazione a difendersi. Questo dovrebbe avvenire però, specie per i Paesi dell’Unione europea, attraverso la definizione prima di tutto di una politica estera comune. attualmente inesistente, e in seguito tramite la messa in atto di collaborazioni anche in campo militare tali da rendere tale politica difensiva meno costosa e più efficace. Lo sviluppo dell’industria militare non deve diventare l’illusorio e pericoloso volano di uno sviluppo economico malato.

L’Unione europea deve sfuggire dalla tentazione, che gli attuali programmi di riarmo sembrano purtroppo   avallare, di adottare un’economia di guerra inevitabilmente aggressiva verso l’esterno e distruttiva di quelle forme di welfare che ne hanno fatto per certi versi un modello da imitare. Questo significherebbe percorrere la stessa strada imboccata dalla Russia con gravi pregiudizi per sistemi democratici che già non godono di buona salute. Inoltre, si finirebbe per minare la pace sociale interna dei singoli Paesi e per  ulteriori munizioni a quel populismo di estrema destra già così diffuso e in ascesa. Una politica di difesa non si può basare  solo sugli aspetti militari ma si fonda soprattutto  sulla ricerca di  forme di collaborazione non solo economica a livello internazionale e sulla lotta contro le ingiustizie e le diseguaglianze.

Se l’Unione europea non sarà in grado di operare in questa direzione finirà per perdere la sua stessa ragion d’essere.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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