Sion è una delle colline di Gerusalemme e in questo contesto indica l’intera città.
Il termine sionismo fu coniato nella forma di Zionismus nel 1882 dallo scrittore e giornalista austriaco Nathan Birnbaum che tracciò nel periodo successivo le linee direttrici di un movimento di emancipazione nazionale degli ebrei all’interno dell’impero austro-ungarico e di quello tedesco.
Birnbaum, anche attraverso un’intensa attività pubblicistica in lingua tedesca, respinse il concetto di assimilazione degli ebrei nelle varie realtà nazionali, auspicando invece la nascita di un loro sentimento nazionale e il rafforzamento dell’insediamento in Palestina. Il termine sionismo fu ripreso da Theodor Herzl, un giornalista ebreo di origine ungherese che, sulla base anche dele esperienze di diffuso antisemitismo, fra cui l’affare Dreyfuss in Francia, fondò a Basilea nel 1897 l’Organizzazione sionista, con lo scopo esplicito di creare le condizioni della formazione di uno stato ebraico in Palestina, terra storica del popolo ebraico prescelta in quanto tale.
L’uso del plurale sionismi è giustificato dalla pluralità di tendenze che si svilupparono fin dall’inizio all’interno del movimento.
Herzl morì nel 1904 ma il movimento si sviluppò nella direzione da lui auspicata; all’ interno del movimento prevalse per un lungo periodo una tendenza social laburista, che caratterizzò prima l’Yishuv, l’insediamento ebraico in Palestina e poi, per lunghi anni, lo Stato di Israele. Questa corrente del sionismo, in accordo sostanziale con i principi fondanti dell’intero movimento, si distinse ben presto per l’abbandono di ogni ispirazione internazionalista, in nome di un nazionalismo che riecheggiava quello tedesco, propugnando un modello di nazione basata sull’unità di stirpe e sangue, piuttosto che sui valori universalistici della Rivoluzione francese.
Gli obiettivi di eguaglianza e giustizia sociale dovevano insomma accordarsi con gli obiettivi del nazionalismo ebraico e comunque non hanno mai contemplato il coinvolgimento dei palestinesi. nel progetto di costruzione e di sviluppo dello Stato israeliano.
Altre tendenze del sionismo hanno convissuto fin dalla nascita del movimento con questa corrente per lungo tempo maggioritaria; fra queste va annoverato il sionismo religioso che stentò a imporsi a causa della diffidenza del mondo religioso ebraico, a lungo in gran parte scettico se non addirittura ostile al laicismo caratteristico del sionismo originario; questa corrente religiosa si affermò dopo la vittoriosa Guerra dei sei giorni del 1967, conclusasi con l’ampliamento dello Stato d’Israele ben oltre le frontiere del 1948, che rappresentò in questo senso una svolta fondamentale.
In quella vittoria gran parte del mondo ortodosso e non solo intravide la possibilità di riportare Israele nei propri confini storici in conformità con il piano divino, atteggiamento che decretò un notevole aumento di influenza della corrente religiosa. Il sionismo, nonostante l’impronta laica ritenuta deprecabile dagli ortodossi, poteva comunque diventare strumento della volontà di Dio. In questo senso, dopo la conquista dell’intera città di Gerusalemme, proclamata già in precedenza capitale, Israele rivendica il riconoscimento giuridico di tale annessione contestata dai palestinesi e giudicata dall’Onu contraria al diritto internazionale. Si tratta di una rivendicazione dalla forte coloritura religiosa, a cui si aggiunge la continua espansione degli insediamenti in Cisgiordania, a scapito della popolazione palestinese; riferendosi a questa regione, la cui sovranità è contesa fra israeliani e palestinesi, Israele utilizza non a caso le antiche denominazioni Samaria e Giudea, di origine biblica.
Un’altra corrente sionista inizialmente minoritaria è il cosiddetto sionismo revisionista, anch’esso presente fin dalle origini del movimento e propugnatore di una visione liberista dell’economia e, già prima della nascita dello Stato di Israele di un’azione più decisa nei confronti della Gran Bretagna e dei palestinesi. Vladimir Ze’ev Jabotinsky, lo storico ideologo del sionismo revisionista, auspicava una difesa militare degli insediamenti ebraici al fine di creare un nuovo Stato che andava difeso con la forza dai palestinesi, con un atteggiamento militaresco conservato anche dopo la creazione dello stato ebraico
Questa corrente sionista è rimasta a lungo minoritaria, finché la sua eredità ideologica è stata raccolta dal Likud, partito fondato nel 1973 che, dopo la vittoria alle elezioni politiche del 1977, è stato un protagonista assoluto della vita politica israeliane ed è tuttora al potere sotto la guida di Benjamin Netanyahu. Il sionismo di quest’ultimo è definito neo-revisionista e accentua ancora di più gli aspetti militaristi del revisionismo; si contraddistingue inoltre per la sua commistione con le correnti religiose più reazionarie di cui l’attuale governo israeliano è una plastica rappresentazione, caratterizzandosi anche per il suo attacco alle strutture relativamente democratiche dello stato israeliano.
Questa variegata realtà del sionismo ha caratterizzato la vita politica di Israele con diverse accentuazioni che però non hanno mai messo in discussione il carattere etnocratico dello Stato di Israele, suggellato dalla legge del 2018 che definisce Israele come “stato degli ebrei” con Gerusalemme unita come capitale, l’ebraico come unica lingua ufficiale e promuove il consolidamento forzato degli insediamenti in Cisgiordania.
Gli arabi con cittadinanza israeliana, che costituiscono circa il 24% della popolazione israeliana, sono di fatto cittadini di seconda classe sotto ogni punto di vista. Amnesty international, in riferimento alla condizione dei palestinesi in Israele e in Cisgiordania ha accusato Israele di praticare una politica di apartheid, accusa respinta con veemenza dalle autorità israeliane.
A questa deriva si oppone unicamente l’esigua pattuglia dei post-sionisti, un gruppo prevalentemente composto da intellettuali che critica il carattere etnocratico connesso con il sionismo fin dalle origini e su cui si basa lo Stato di Israele e auspica un’evoluzione nel senso di una piena democrazia che riconosca pienamente i palestinesi come componente essenziale dello Stato di Israele.
Si tratta di una visione che al momento sembra utopistica, data la situazione attuale del conflitto israeliano-palestinese ma costituisce una delle opzioni percorribili per arrivare finalmente a pacificare questa tormentata ragione. L’altra opzione, anch’essa al momento altrettanto utopistica, della creazione di un autentico stato palestinese realmente autonomo e indipendente su territori oggi contesi, potrebbe anche essere un primo passo verso la creazione di uno Stato realmente mutietnico: l’avviamento di un processo di pacificazione richiede profonde trasformazioni sia nei gruppi dirigenti israeliani che in quelli palestinesi e il riconoscimento del rispettivi diritti, obiettivo lontano ma la cui unica alternativa è la conflittualità permanente con la prospettiva di una distruzione reciproca
Il sionismo, insomma, frutto, soprattutto nelle sue origini, dell’elaborazione teorica del nazionalismo europeo ha avuto un valore emancipatorio per il popolo ebraico che ha abbracciato l’idea nazionalista adattandola alla propria drammatica realtà storica, non riuscendo a evitare un processo di degenerazione che impedisce uno sviluppo democratico di una realtà statale costruita su queste basi, fenomeno del resto comune ad altre forme di nazionalismo.