Svizzera: proibire il velo integrale?

Il prossimo 7 marzo gli elettori svizzeri saranno chiamati a esprimersi sull’iniziativa popolare denominata “SÌ al divieto di dissimulare il proprio viso”.

L’iniziativa si propone di imporre tale divieto in tutta la Svizzera ed è stata promossa dal   Comitato di Egerkingen, dal nome della piccola località del Canton Soletta dove fu costituito nel 2006 e già noto per aver promosso con successo l’iniziativa contro la costruzione di nuovi minareti approvata nel 2009.

Il divieto riguarda la copertura del volto sia per scopi criminali sia per motivi religiosi o culturali come nel caso del burqa o del niqab ma di fatto il dibattito politico si è incentrato su quest’ultimo aspetto; i promotori dell’iniziativa ritengono l’uso del velo integrale  un’espressione della sottomissione della donna e quindi incompatibile con i valori della nostra società. Sempre secondo i promotori mostrare il proprio volto è un principio di libertà e una manifestazione della parità dei diritti.  Il divieto dovrebbe valere in tutti gli spazi pubblici, mentre non si applicherebbe  negli spazi riservati al culto.

Il Consiglio federale e il Parlamento ritengono invece che la decisione sull’uso del velo integrale debba continuare a essere appannaggio dei singoli Cantoni e oppongono all’iniziativa un controprogetto indiretto che prevede l’obbligo di mostrare il proprio volto ogni volta che sia necessaria un’identificazione.

Il controprogetto, che entrerà in vigore se l’iniziativa verrà respinta, prevede inoltre programmi di promozione volti a rafforzare i diritti delle donne e si basa sul presupposto che un divieto imposto per legge in tutto il Paese finirebbe per isolare ulteriormente le donne che indossano il velo integrale.

Il Canton Ticino e il Cantone di San Gallo si sono già espressi per un divieto analogo a quello richiesto dall’iniziativa, mentre Zurigo, Svitto e Glarona si sono pronunciati in modo opposto.

In Italia il divieto di coprire il volto nei luoghi pubblici è regolato da una legge del 1931 e dalle successive modificazioni, l’ultima delle quali del 2005, che si prefiggono soprattutto di contrastare la violenza politica e il terrorismo. Tuttavia la legge italiana specifica che è vietato coprirsi il volto “senza giustificato motivo”, formulazione che dà adito a continui contenziosi e a interpretazioni contraddittorie in sede legale, quando alcune amministrazioni locali   propongono l’introduzione di misure volte più o meno esplicitamente a vietare il velo integrale.  

La situazione in Europa è complessa e diversificata; molti Paesi non hanno una legislazione specifica in materia, ma lasciano spesso spazio alle decisioni delle autorità locali. I Paesi che invece hanno introdotto tale divieto prevedono normative e sanzioni molto diverse da un Paese all’altro. 

La Corte europea dei diritti dell’uomo, chiamata a pronunciarsi sul divieto del velo integrale, ha emesso sentenze sostanzialmente favorevoli al divieto, non prive tuttavia di criticità.

Il Consiglio per i diritti umani dell’Onu, invece, ha riconosciuto nel 2018 il diritto degli Stati membri di chiedere a tutti i propri cittadini di scoprire il volto quando si renda necessario il controllo dell’identità ma ha altresì ritenuto eccessivo e controproducente per le donne un divieto generalizzato del velo integrale.

Tornando alla Svizzera, alla definizione di una questione così delicata non contribuisce certo la coloritura politica e culturale del Comitato promotore che caratterizza di fatto anche l’impostazione della campagna elettorale. Il Comitato di Egerkingen del resto è stato fondato e sostenuto in gran parte da  esponenti della destra legati all’Unione democratica di Centro e all’Unione democratica federale e dichiara di battersi contro “l’islamizzazione della Svizzera” e  per la difesa dei valori occidentali che sarebbero in pericolo.

Un cartellone anti-burqa che si trova in giro per la città di Zurigo

Al di là delle proclamazioni di principio, la campagna è caratterizzata da queste tematiche mentre quelle relative a una difesa dei diritti delle donne che il successo dell’iniziativa, a giudizio dei promotori, garantirebbe appaiono decisamente in secondo piano.

Il manifesto più diffuso a favore dell’approvazione dell’iniziativa mostra il volto minaccioso  di una donna, interamente coperto dal velo e da grandi occhiali scuri con uno slogan che invita gli elettori a fermare l’estremismo; come si vede si preferisce far leva su forti aspetti emotivi, espressione di un evidente pregiudizio negativo, piuttosto che sulla dignità delle donne. 

Amnesty International nel motivare la propria opposizione al divieto generalizzato del velo integrale sottolinea piuttosto l’urgenza, per una concreta affermazione dei diritti di tutte le donne, dell’adozione di efficaci misure di integrazione che tengano conto di situazioni particolari e che creino le premesse per un’effettiva libertà di attuare scelte autonome.

Per una singolare coincidenza il voto sull’iniziativa coincide esattamente con il cinquantesimo anniversario della prima partecipazione femminile a una votazione federale.

Ancora una volta però le donne appaiono oggetto strumentale di una disputa che non le coinvolge in prima persona, piuttosto che soggetto di una lotta per i loro diritti.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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