Un voto per l’Europa che non c’è

Sabato prossimo  mi recherò nel mio comune italiano di domicilio per esprimere il mio voto per il rinnovo del Parlamento europeo. Per motivi imperscrutabile il governo italiano non consente ai propri cittadini residenti all’estero in Paesi extracomunitari di partecipare a questo tipo di consultazione elettorale senza affrontare onerosi viaggi per raggiungere il seggio in Italia.

Così non mi resta che osservare con invidia la mia vicina spagnola che riceve via corriere la scheda elettorale per poi  rispedirla tranquillamente In Spagna.

 Non mancano, accanto alle difficoltà logistiche, parecchi motivi di tipo politico che indurrebbero a rinunciare al viaggio.

Se dovessi esprimere, cedendo a un’antica deformazione professionale, con un voto scolastico il mio grado di soddisfazione per le politiche condotte negli anni passati dalle autorità europee credo che si tratterebbe di una pesante insufficienza. L’Unione europea pratica su tutti i fronti una politica del piccolo cabotaggio del tutto inadeguata ad assumere un ruolo costruttivo in un mondo i cui equilibri storici sono scossi dalle fondamenta.

Se la crisi pandemica aveva fatto sperare in una rinascita della solidarietà europeistica, la fine dell’emergenza e lo scoppio della guerra in Europa hanno favorito un arretramento su questo terreno. Stanno tornando in auge i restrittivi criteri economici che strangolano i bilanci di molti Paesi senza risolvere i problemi da cui sono afflitti.

Il riarmo sembra essere diventato una priorità assoluta e l’immagine dell’Europa come promotrice di pace sta rapidamente sbiadendo. Di fronte al conflitto ucraino l’Unione europea balbetta in ordine sparso, totalmente incapace di promuovere iniziative di pace e anzi accodandosi alle politiche oltranziste della Nato e degli Usa. Non sono fra quelli che sottovalutano la minaccia dell’imperialismo russo e non penso  che sia sufficiente interrompere  il rifornimento di armi all’ Ucraina per porre fine al conflitto ma ritengo anche che la rinuncia totale  alla ricerca di un’ alternativa a una guerra a oltranza che nessuno può vincere significhi praticare una nuova forma sonnambulismo che rischia di portare alla catastrofe.

Le politiche ambientali che sembravano giustamente prioritarie subiscono ogni giorno un arretramento di cui la stessa Ursula von der Leyen si è mostrata convinta assertrice, con provvedimenti di fine legislatura volti a una mera ricerca del consenso in ambienti che si considerano, più o meno a ragione, danneggiati dal pur timido Green Deal europeo.

L’Unione europea si è mostrata incapace di perseguire una politica migratoria coerente e fedele ai principi di rispetto dei diritti umani tanto sbandierati mentre di fatto i respingimenti da una fortezza Europa sempre più chiusa in se stessa appaiono l’unica realtà.

Questo continuo scivolamento verso politiche di chiusura securitaria e subalterna a un liberismo incapace di garantire un livello accettabile di benessere a larghi strati di popolazione sta di fatto favorendo le forze di destra, che infatti sono accreditate da tutti i sondaggi di un notevole successo elettorale. Molte di queste forze hanno abbandonato un atteggiamento di scontro frontale con la realtà europea, valutando molto più produttiva tentare una conquista delle istituzioni europee, magari in collaborazione con vasti settori di forze centriste. Si rischia insomma un’europeizzazione di quel progetto di democrazia illiberale che in misura diversa vari Paesi, fra cui l’Italia, stanno già realizzando. 

Del resto di fronte al progressivo strangolamento della democrazia ungherese non è stato compiuto nessuna concreta azione di contrasto a livello comunitario e il tirannello di Budapest può continuare, a suon di ricatti, a perseguire i suoi progetti.

Di fronte a questo quadro sconsolante, a cui si potrebbero tranquillamente aggiungere altri tasselli, verrebbe la tentazione di gettare la spugna e di considerare un’illusione il fatto che il nostro voto possa in qualche modo frenare questa deriva

Si vota oltretutto per eleggere un Parlamento europeo la cui influenza decisionale rimane limitata mentre le decisioni che contano vengono prese da organismi sovranazionali dalla scarsa trasparenza democratica.

Eppure, voglio e devo credere che il mio, il nostro voto oggi e l’impegno sociale e culturale di tutti noi domani possano costruire un argine al fiume apparentemente incontenibile dei nazionalismi trionfanti. Il ruolo di chi condivide questa prospettiva è simile a quello del bambino di una nota fiaba olandese che mise un dito in una diga che proteggeva il suo paese come rimedio provvisorio in attesa che arrivassero gli abitanti del villaggio a evitare il disastro.

Insomma, proviamo a contribuire oggi a porre le basi per costruire domani una realtà più umana per la quale i confini dell’Europa forse si mostreranno insufficienti. Se falliremo potremo almeno dire di averci provato.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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