Una storia per capire la Lega

Paolo Barcella, docente di storia contemporanea all’università di Bergamo, ha recentemente pubblicato un saggio che ricostruisce la storia della Lega dalla fondazione ai giorni nostri.

Il libro (qui) è stato presentato il 15 giugno scorso presso la sede Ecap di Zurigo.

In questo modo Barcella, già autore di varie pubblicazioni sull’ emigrazione italiana in Svizzera e di una biografia di Leonardo Zanier, ha ulteriormente rafforzato i suoi legami con la realtà della presenza italiana in Svizzera, di cui si trova traccia anche nella sua nuova pubblicazione.

Il testo si presenta come una ricerca di respiro storico e non certo come uno strumento di propaganda politica spicciola, pur palesando l’ottica di un autore che legge la realtà da un punto di vista solidamente legato al movimento operaio italiano organizzato. Un approccio storico su un argomento così scottante risulta spiazzante perché genera, da versanti opposti dello schieramento politico, l’esigenza di catalogare immediatamente e schematicamente la posizione politica dell’autore, più che di comprenderne e discuterne le argomentazioni.

L’approccio scelto da Barcella è importante perché inserisce i problemi analizzati in un contesto di sviluppo che consente uno sguardo più lungo di quello legato alla contingenza politica, rispetto a un movimento-partito che per sua stessa natura si è sempre posto in modo divisivo tale da rendere difficile un giudizio equilibrato su di esso.

Questo sguardo lungo appare quanto mai necessario in quanto, da parte soprattutto degli intellettuali di sinistra, la Lega è stato vista con un ‘ottica di tendenziale folclorizzazione e brutalizzazione, come se i leghisti e i loro capi fossero incapaci di intendere e di volere, un fenomeno insomma da analizzare principalmente con gli strumenti della ricerca antropologica. In questo modo c’è il rischio costante di perdere il contesto economico e sociale all’interno del quale il fenomeno Lega è nato e di non comprenderne la natura profonda

Buona parte della sinistra è sembrata a lungo ignorare che l’elettorato nordista della Lega, soprattutto alle origini, era in gran parte lo stesso che fino a poco prima aveva votato per i partiti di sinistra.

La Lega delle origini ha inoltre avuto bisogno di costruirsi un orizzonte simbolico in parte mutuato da esperienze storiche della sinistra, in cui il rito dei grandi raduni di Pontida ha svolto un ruolo fondamentale. Bossi per primo è apparso consapevole che il consenso non può essere costruito solo attraverso i media ma richiede anche un’occupazione dello spazio fisico, in cui entrare in relazione con le persone. In molte zone del Veneto e della Lombardia, con la diffusione del fenomeno leghista, le feste dell’Unità spariscono e vengono sostituite da feste padane di vario genere, che si svolgono sostanzialmente con le stesse modalità e le stesse attività.

Negli anni più recenti la Lega di Salvini ha tentato una metamorfosi, sostanzialmente fallita, per trasformare la Lega in un partito nazionale, mettendo in tal modo in crisi quelli che credevano nel nordismo; per recuperare terreno il leader leghista dovrà tentare   un ritorno al radicamento territoriale che il pur sapiente uso dei social non riesce a garantire.

Barcella si è proposto innanzitutto di comprendere il contesto storico e sociale dell’Italia fra la fine degli anni ‘ 70 e i primi anni ’80, in cui Bossi e le varie Leghe locali cominciano a emergere. In quest’epoca si pensa soprattutto a Bossi e alla Lega lombarda ma le prime cellule leghiste nascono in Veneto.

Il brodo di coltura in cui si sviluppano le leghe è quello di società contadine profondamente immerse nella cultura cattolica, radicalmente trasformate dal boom economico degli anni ’50 e ’60.

Le trasformazioni sociali prodotte in Italia dall’inurbamento, dall’industrializzazione, dalle migrazioni dal Sud verso il Nord e dalle zone povere dell’Italia verso altri Paesi europei producono profondi e sconvolgenti cambiamenti nei costumi di vita in tempi oltretutto rapidissimi. L’idea stessa e la funzione della famiglia cambiano radicalmente e anche il senso della vita comunitaria delle classi lavoratrici; il ruolo della donna è al centro di queste trasformazioni.

Questi fenomeni vengono inquadrati e interpretati, sia pure con prospettive diverse, dai grandi partiti di massa che svolgono un ruolo prezioso di integrazione sociale.

Queste trasformazioni così repentine e radicali producono anche paure e impulsi reazionari e negli anni ’70 i partiti di massa faticano a continuare a svolgere il loro ruolo; da qui nascono movimenti come le varie leghe che si propongono di fornire risposte rassicuranti ai disagi delle persone, promettendo un ritorno alla certezza delle cose note legate alle realtà locali, al proprio campanile, in una prospettiva interclassista che elimina il conflitto nella comunità, trasferendolo  al di fuori di essa e rivolgendolo inizialmente soprattutto contro  i meridionali. Fino alla fine degli anni ’80 i lavoratori stranieri erano in qualche modo accettati nella misura in cui, almeno inizialmente, si comportavano come molti Gastarbeiter italiani che, dopo aver lavorato per un certo numero di anni con pochi diritti in terra straniera, se ne tornavano a casa loro. I meridionali che si stabilivano al Nord, invece, lo facevano in modo stabile, rivendicando diritti interpretati da molti lavoratori del Nord come una minaccia al loro benessere e alla loro cultura. Le cose cambiano alla fine degli anni ’80 quando la presenza di lavoratori stranieri e le loro rivendicazioni si fanno sempre più consistenti.

Nel pensiero di Bossi la Lega si configura come il partito della difesa del locale, dei suoi valori e delle sue certezze e come antidoto al disorientamento diffuso.

La Lega lombarda di Bossi finisce pragmaticamente per predominare sulla Liga veneta di Rocchetta perché i leghisti veneti credevano realmente in quello che dicevano, per esempio sulla questione dell’identità etnica e sul ruolo del dialetto.
I leghisti veneti denunciavano con convinzione la colonizzazione economica e culturale, identificando quest’ultima soprattutto nella massiccia presenza di meridionali nelle scuole e negli apparati di ordine pubblico. Bossi invece non si pone mai il problema della verità ma piuttosto dell’efficacia e può di volta in volta lanciare parole d’ordine interpretabili in modi diversi. Si tratta per lui di perseguire la valorizzazione dei vari territori lombardi inseguendo, in funzione del consenso, pulsioni anche contrastanti dei suoi abitanti.

Ci si interroga spesso sui motivi per cui l’avversione verso gli immigrati sia particolarmente diffusa proprio in zone del Nord Italia da cui un tempo i più poveri emigravano, subendo spesso condizioni di vita umilianti. Si tende a vedere in questo una sorta di rimozione del proprio passato ma l’autore, anche sulla base delle sue ricerche sull’emigrazione in Svizzera, tende a individuarne   la causa principale in una  sorta di rancore sociale,  nella  volontà di far vivere agli immigrati nel Nord Italia le stesse sofferenze di chi aveva vissuto  da Gastarbeiter in Svizzera o in Germania.

Le basi culturali di questo rancore guideranno l’opposizione di Bossi alla Legge Martelli, “colpevole” appunto di voler concedere agli stranieri quei diritti che erano stati negati all’emigrazione italiana.

All’inizio degli anni ’90 la presenza delle varie leghe sul territorio trova una potente cassa di risonanza e di diffusione nella mediatizzazione del fenomeno, a partire dal programma televisivo Profondo Nord, condotto da Gad Lerner. La sincera volontà di analisi del giornalista, uomo di sinistra, consente   alla Lega di presentarsi come espressione del popolo che assalta il Potere e offre   una vetrina all’antipartitismo dilagante, di cui si fa portatrice, favorendone involontariamente l’esplosione elettorale.

Molti hanno osservato che la Lega fa breccia nelle zone di storico radicamento democristiano ma va osservato che in queste zone conquista soprattutto l’elettorato che votava Pci e sinistra perché inizialmente nelle zone rosse la sinistra aveva un radicamento territoriale più difficile da scalfire anche dopo la crisi dell’89.

Nel momento in cui si profila una campagna elettorale in cui una destra, sostanzialmente estranea a una tradizione antifascista, non solo nella componente leghista, aspira alla guida del Paese appare particolarmente importante raccogliere e ampliare l’indicazione di rifuggire dalla tentazione di un atteggiamento di supponenza intellettuale che impedisce di comprendere e di conseguenza di contrastare efficacemente certi fenomeni.

Sia consentito tuttavia a chi scrive di osservare che, se queste destre  non sono costituite da trogloditi a cui applicare esclusivamente strumenti di analisi antropologica, i loro  capi contribuiscono potentemente e scientemente all’imbarbarimento del linguaggio politico e alla conseguente acutizzazione delle tensioni sociali come strumento di accrescimento del consenso elettorale; un atteggiamento laico di comprensione dei fenomeni non esclude la denuncia dei loro  pericolosi aspetti degenerativi.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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