Velo integrale: una sconfitta evitabile

L’elettorato svizzero ha approvato, con una ristretta maggioranza, l’iniziativa che vieta in generale, su tutto il territorio della Confederazione, di coprire il volto nei luoghi pubblici ma che, di fatto, si è configurata come un’iniziativa per impedire l’uso del velo islamico integrale in pubblico.

L’iniziativa è stata promossa dal Comitato di Egerkingen, un raggruppamento di destra che già nel 2009 ottenne, con ancora maggior consenso popolare, la proibizione di costruire nuovi minareti in tutta la Svizzera.

Durante la campagna elettorale i sostenitori del divieto si sono eretti non solo a difensori dei valori della società svizzera ma anche a paladini della stessa dignità di quelle donne islamiche costrette a coprirsi il volto in pubblico.

Nessuno nega l’esistenza del problema ma è anche evidente che esso non può essere risolto con un’imposizione legislativa che rischia al contrario di isolare ulteriormente le donne interessate al provvedimento.

Il divieto non avrà un rilevante effetto pratico, dato il ristretto numero di donne residenti in Svizzera che coprono completamente il volto indossando il burqa o il niqab; nel Canton Ticino e nel Cantone di San Gallo, che già prevedevano un simile divieto, in questi anni è stato comminato un numero molto esiguo di multe che hanno riguardato soprattutto ignare e facoltose turiste musulmane. 

Il successo dell’iniziativa ha invece il grave effetto di  trasmettere a persone che vivono stabilmente in Svizzera o che addirittura vi sono nate, un senso di isolamento e di emarginazione rispetto alla società in cui sono inserite.

Questa messaggio sostanzialmente ostile è rivolto poi più in generale contro la  grande massa di stranieri che vivono in Svizzera senza avere alcuna possibilità di incidere  sulle decisioni che li riguardano.

Questa sconfitta di misura del fronte progressista era probabilmente evitabile considerando l’esiguità della vittoria del Sì e se si raffronta il risultato uscito dalle urne con i sondaggi che, all’inizio della campagna, prevedevano un successo dell’iniziativa di proporzioni ben più  schiaccianti.

Tranne lodevoli ma sparute eccezioni, i fautori del No si sono limitati a proclamare verbalmente la loro opposizione, senza attivarsi concretamente per la vittoria.

In giro per la Svizzera si è visto solo lo spregevole ma efficace manifesto dei fautori del Sì, mentre la propaganda per il No  non ha avuto alcuna rilevante visibilità.

Probabilmente i gruppi dirigenti dei partiti e delle organizzazioni contrari all’iniziativa hanno sofferto di “sondaggite”, quella sindrome ben diffusa negli schieramenti progressisti di tutto il mondo che induce a una prudenza autolesionistica quando si tratta di condurre battaglie complesse e apparentemente impopolari.

Nemmeno le organizzazioni di stranieri non direttamente coinvolte dal problema si sono mobilitate sufficientemente, non rendendosi conto  evidentemente che   l’attacco a una minoranza è, di fatto, l’attacco a tutte le minoranze. 

Del resto in questi mesi vengono proposti e talvolta approvati, su diversi fronti, da parte delle forze di destra provvedimenti volti a rendere più difficile la condizione degli stranieri in Svizzera, senza che vi siano sul fronte opposte reazioni adeguate.

Si pensi ad esempio all’inasprimento, a partire dal 2019, della legge sugli stranieri che prevede addirittura, per chi non possiede il passaporto svizzero, il possibile declassamento del permesso di soggiorno o addirittura l’espulsione per chi sia costretto a ricorrere all’assistenza sociale.

Dall’evitabile sconfitta del 7 marzo si possono trarre diversi insegnamenti utili per il futuro.

In primo luogo, esiste un’opinione pubblica svizzera potenzialmente maggioritaria, se informata e mobilitata in modo adeguato e tempestivo, in grado di non cadere in facili trappole demagogiche e disponibile a rispondere con la tolleranza ai complessi problemi di una società chiamata a conciliare culture diverse.

In secondo luogo, la strada da seguire con maggiore decisione appare  quella di favorire il più possibile i processi di integrazione di tutti gli stranieri che vivono da tempo in Svizzera e che sono una componente essenziale della società elvetica. Si tratta di agire a livello culturale sociale e politico realizzando un’alleanza fra forze democratiche svizzere e organizzazioni degli stranieri e mostrando maggior coraggio e una maggiore intraprendenza per non lasciare spazio a nuove pericolose avventure.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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