In Italia sembra sia esplosa una vera e propria febbre da referendum; si raccolgono firme per abrogare norme concernenti la giustizia, per modificare la legislazione in vigore sul fine vita, per abolire la caccia, e via di seguito.
Le cause di questa frenesia sono sia di tipo tecnico che politico.
Dal punto di vista tecnico, la possibilità, recentemente introdotta, di firmare online, permette una notevole semplificazione nella raccolta delle firme.
Il ricorso al referendum abrogativo viene poi visto da molti cittadini come un modo per partecipare più attivamente alla vita politica del Paese, in un momento di grave disaffezione alla partecipazione elettorale, evidenziata in modo drammatico dal recente voto amministrativo.
Alcuni analisti osservano poi come, soprattutto gli elettori più giovani, siano più propensi a impegnarsi su questioni specifiche, quali appunto quelle oggetto di referendum, che su grandi tematiche generali.
Questo massiccio ricorso ai referendum abrogativi è visto con preoccupazione da quegli osservatori che considerano qualsiasi forma di democrazia diretta come una pericolosa deriva populista, in grado di delegittimare la democrazia rappresentativa. Si tratta invece, in molti casi, di stimolare interventi legislativi che possono colmare il vuoto su determinate questioni di interesse generale, quali, ad esempio, la regolamentazione del fine vita su cui il Parlamento, a causa di un’impropria ideologizzazione del problema , non trova modo di intervenire.
Si potrebbe insomma innestare un rapporto di complementarietà e non certo di antitesi fra democrazia diretta e rappresentativa, a condizione, naturalmente, che Governo e Parlamento mostrino la sensibilità, attualmente latente, di cogliere determinate sollecitazioni da parte della società La necessità che per ogni quesito referendario sia previsto il vaglio severo ( a volte anche troppo!) da parte della Corte costituzionale è una sicura garanzia di mantenimento dei necessari equilibri democratici.
L’Italia, a differenza della Svizzera, che ha un sistema di democrazia diretta molto più esteso e incisivo, prevede un intervento diretto dei cittadini limitato all’abrogazione di leggi o parti di esse già esistenti,soprattutto a livello nazionale e parzialmente a livello regionale, mentre a livello comunale sono previste solo forme consultive.
Per la formulazione di nuove leggi è possibile, attraverso l’istituto delle leggi di iniziativa popolare e delle petizioni, solo sollecitare il Parlamento, se lo ritiene opportuno, a intervenire.
Inoltre per lo stesso istituto referendario è previsto, a livello nazionale, per l’approvazione di un quesito, la partecipazione al voto della maggioranza assoluta del totale degli aventi diritto al voto.
Considerando che fisiologicamente, per vari motivi, un 20-30% degli elettori non partecipa mai a nessuna consultazione elettorale, questo costituisce un notevole handicap per l’approvazione
di qualsiasi quesito referendario. Si assiste così al paradosso che un sindaco o un parlamentare possono essere tranquillamente eletti da una minoranza degli elettori mentre per qualsiasi referendum abrogativo è necessaria la partecipazione della maggioranza assoluta.
In prospettiva, per estendere le forme di democrazia diretta, dovrebbe essere inoltre data ai cittadini la possibilità di esprimersi non semplicemente con un sì o con un no ma di partecipare attivamente, sia livello locale che nazionale, alla formulazione di determinati provvedimenti.
Ritornando all’Italia è anche auspicabile che la volontà di partecipazione espressa dal proliferare delle iniziative referendarie sia uno stimolo a modificare un’assurda legge elettorale nazionale che, di fatto, attribuisce ai segretari dei partiti la scelta dei parlamentari, favorendo la disaffezione degli elettori e la selezione di una classe politica mediocre.
Per ottenere tutto questo sarà necessario accentuare quell’iniziativa dal basso di cui l’attuale volontà di massiccio ricorso all’istituto referendario è un sintomo evidente.
Tutto questo naturalmente non elimina completamente il pericolo di tentazioni populistiche che possono sfruttare l’emotività di taluni settori dell’opinione pubblica ma si tratta dei rischi che ogni democrazia che voglia mantenersi vitale deve essere disposta a correre.