di Edoardo Pivoni
Pochi libri mi hanno rapito, segnato, fatto sprofondare nelle loro pagine come “Festa di nozze” di John Berger, pubblicato nel 1995, edito Il Saggiatore in Italia nel 1997. L’ho trovato usato per caso in una libreria, uno di quei libri che non scegli tu, ma che scelgono te. Berger fu uno scrittore, critico d’arte, pittore londinese che visse per decenni in Francia, la sua seconda casa. Il suo umanismo marxista lo portò a criticare sempre più aspramente il regime sovietico. Un suo interesse importante fu l’abbandono delle comunità rurali, tanto da trasferirsi in uno dei luoghi di questo romanzo, in Alta Savoia, dove ha vissuto e coltivato dalla metà degli anni ’70.
La scrittura di Berger per me è stata un’amica, mi ha confortato, sollevato e trasportato in un viaggio alla fonte del mito e del tempo, come se quelle vite le avessi vissute in prima persona. Ho provato una nostalgia mai vissuta e per un viaggio fatto di nomi scelti con cura, di geografie dello spazio e della mente sapientemente intrecciate. Sono entrato in appartamenti fatti apposta per lunghe chiacchierate, con luci soffuse, confidenze e conosciuto gente che potrebbe essere esistita in altri universi. Se fossi un produttore cinematografico non esiterei un minuto a comprare i diritti di questo romanzo e farne un film, è praticamente una sceneggiatura perfetta, già scritta, densa di luoghi, immagini, oggetti, personaggi straordinari e poetica, col giusto onirismo e buia umanità, rischiarata però da un lumicino di speranza.
John Berger (foto credits Wikipedia)
In un mercato di Atene, nel 1994, durante un viaggio sulla motocicletta Honda CBR 1100, un uomo compra da un vecchio cieco una tavoletta votiva per la figlia colpita dall’AIDS, il “male del secolo”. Da qui la trama: Ninon, la figlia di Jean e Zdena, una troppo giovane sieropositiva per una notte nella quale ha fatto l’incontro sbagliato (con quello che incarna a tutti gli aspetti un povero demonio) e ha marchiato la sua giovane vita, vulnerabile, sperduta tra le città dell’Italia del Nord, e il giovane Gino, testardo, semplice ambulante che gira i mercati, incrollabile nel suo amore per Ninon, nonostante tutto, indifferente a tutto. Una coppia lontana dall’idillio amoroso delle commedie americane patinate, ma vicina a quello reale della dolce e vecchia Europa. Sanno che il loro futuro sarà breve; Ninon è l’appestata, è colei che porta in sé la morte e se si donasse, donerebbe la morte; Gino è la figura epica dell’uomo che ama e niente lo può far desistere, un Don Chisciotte “padano” che lotta contro la natura ingiusta dei propri destini. Dalle Alpi francesi e dall’ex Cecoslovacchia convergono su Gorino, lungo la direttrice del Po e della sua pianura, persone che la storia economica e sociale del Novecento ha disperso come foglie al vento. La slovacca Zdena, madre di Ninon, fuoriuscita politica a Parigi negli anni della dominazione sovietica, tornata nella Bratislava post-comunista, lasciandosi una figlia e un amore alle spalle, decide di salire su un pullman diretto a Venezia, per poi da lì imbarcarsi per Chioggia. Jean Ferrero, padre di Ninon, figlio di braccianti della risaia vercellese, emigrato in Francia e impiegato nelle ferrovie sulle Alpi (un elemento il treno che riemerge spesso come collegamenti di affetti e di vite sofferenti), si mette in marcia con la sua motocicletta verso Torino, per poi proseguire verso l’Adriatico. Questa è una storia densa di umanità, che parla all’anima, senza mediazioni, senza cedimenti, guardandoti dritto negli occhi. Il linguaggio che Berger usa è musicale, pieno di vorticoso romanticismo.
A riunire questa famiglia sul delta del Po (ambientazione, il fiume italiano, molto amata da Berger), è un’occasione gioiosa: Ninon e Gino si sposano. La loro sarà una festa di nozze e, come nelle fiabe, libera dal sigillo del tempo. La descrizione dei preparativi del matrimonio da parte di ogni persona coinvolta attira il lettore nell’attesa, anche se a conoscenza dell’evento a venire. L’esile sposa ingannerà la malattia che la sta consumando arrendendosi all’atto di speranza del suo sposo: è una tragedia greca.
Dovunque andrò, so per certo che porterò questo libro con me.