La “piena disoccupazione” di Bob Black e il diritto alla pigrizia

In tanti – o forse tutti – abbiamo pensato che sarebbe bello vivere una vacanza lunga una vita. Non lavorare. Mai. Ma abbiamo riflettuto, davvero, su cosa significa non dover lavorare? Insomma, sarebbe possibile oggi abolire il lavoro?

Vi propongo, in questo articolo, una proposta, provocatoria, che ho trovato nell’opera del teorico dell’anarchia libertaria e post-lavoristica statunitense Bob Black , il quale nel 1985 scrisse un saggio intitolato, appunto, The abolition of work (l’abolizione del lavoro). Inizia così: “Nessuno dovrebbe mai lavorare. Il lavoro è la fonte di quasi tutte le miserie del mondo. Quasi tutti i mali che si possono enumerare traggono origine dal lavoro o dal fatto che si vive in un mondo finalizzato al lavoro. Per eliminare questa tortura, dobbiamo abolire il lavoro. Questo non significa che si debba porre fine ad ogni attività produttiva.”

Per Black si tratta della “piena disoccupazione”, in risposta alla retorica del profitto, della produttività e della piena occupazione appunto. Black aggiunge che i progressisti dicono che dovremmo abolire le discriminazioni sul lavoro. Lui dice che dovremmo abolire il lavoro. I conservatori appoggiano le leggi sul diritto al lavoro. Allo stesso modo dell’ostinato genero di Karl Marx, Paul Lafargue, Black sostiene il diritto alla pigrizia. La sinistra è a favore della piena occupazione, lui è a favore della piena disoccupazione. I trotskisti diffondono l’idea di una rivoluzione permanente, questo pensatore quella di una “baldoria permanente”. Black ci tiene a chiarire di essere serissimo e che non difende l’ozio sul lavoro o il tempo libero, poiché questi concetti sono nati come pause in risposta ai ritmi e al mondo del lavoro, l’unica differenza è che se si lavora si è pagati per la propria alienazione.

I marxisti pensano che dovremmo essere diretti dai burocrati, i liberali da uomini d’affari. Chiaramente questi “mercanti di ideologie” per Black mostrano un notevole disaccordo su come dividersi le spoglie del potere. Ma è ancora più chiaro che nessuno di loro ha nulla da obiettare sul potere in quanto tale, e che tutti costoro vogliono che si continui a lavorare. Per la sociologia del lavoro l’essere umano oggi è libero ma “obbligato” a cercarsi un lavoro per vivere nella sua stessa società di animali intelligenti e civilizzati: un ossimoro profondo.

Il lavoro moderno implica conseguenze sempre peggiori. La gente non lavora in senso proprio, ma svolge delle mansioni. Ognuno svolge continuamente una sola mansione produttiva in forma coercitiva. Anche nel caso in cui il lavoro presenta un certo interesse intrinseco (carattere sempre meno presente in molte occupazioni, specie nel XXI secolo inoltrato) la monotonia derivante da tale coercizione all’esclusività elimina il suo potenziale ludico. Una “mansione” che, qualora venisse svolta per il piacere che ne deriva, impegnerebbe le energie di alcune persone per un lasso di tempo ragionevolmente limitato, si tramuta invece in un peso per coloro che la devono svolgere per 35-40 ore la settimana, senza poter dire nulla su come dovrebbe essere svolta, e questo per il profitto dei proprietari, i quali non contribuiscono affatto al progetto, e senza nessuna opportunità di dividere i compiti e di distribuire il lavoro fra quelli che effettivamente lo devono compiere.

Questa è la realtà del mondo del lavoro: un mondo di precariato, di confusione burocratica, di molestie, di discriminazioni sessuali ed etniche, di capi e capetti ottusi che sfruttano e tiranneggiano i loro subordinati i quali — secondo ogni criterio tecnico razionale — sarebbero in realtà nella posizione di decidere da soli. Ma nel mondo reale il capitalismo subordina l’aumento razionale della produttività e del surplus alla propria esigenza di tenere sotto controllo l’organizzazione della produzione. Per l’anarchico Black, personaggi storici come Gengis Khan o Ivan il Terribile non disponevano di metodi di controllo dei loro sudditi così capillari come quelli dei moderni e più “piccoli” despoti contemporanei: uno di questi metodi è la disciplina sul lavoro.

Il lavoro dunque si fa beffe della libertà che i cittadini umani hanno conquistato a fatica nel corso dei secoli. La linea ufficiale è che a tutti sono riconosciuti dei diritti, e che viviamo in una democrazia. Ma esistono individui meno fortunati che non sono così liberi come noi e vivono in Stati di polizia. Costoro sono delle vittime costrette ad eseguire continuamente ordini senza discussioni, per quanto essi possano essere arbitrari. Le autorità li sorvegliano strettamente. I burocrati controllano anche i più piccoli dettagli della loro vita quotidiana. I funzionari che li comandano a bacchetta, rispondono solo ai loro diretti superiori, siano essi pubblici o privati. Il dissenso e la disobbedienza vengono entrambi repressi. Gli informatori riferiscono regolarmente alle autorità. Ovviamente tutto ciò rappresenta una situazione terrificante. E così è, sebbene questa non sia altro che la descrizione di un moderno luogo di lavoro. I progressisti, i conservatori o i liberali che si lamentano del totalitarismo sono falsi e ipocriti.

C’è più libertà in una dittatura moderatamente de-stalinizzata di quanta ve n’è in America in un ordinario luogo di lavoro, dice Black direttamente dagli Stati Uniti reaganiani. Negli uffici e nelle fabbriche ci sono gerarchie esattamente come nei monasteri o nelle prigioni. Il lavoratore è uno schiavo part-time. Il datore di lavoro decide quando bisogna comparire sul luogo di lavoro e quando bisogna andarsene, e cosa si deve fare in quel lasso di tempo (anche a casa). Ti dice quanto lavoro devi fare e a quale ritmo. Ha la facoltà di spingere il suo controllo fino ad estremi umilianti, stabilendo, se lo desidera, quali vestiti devi indossare e quanto spesso puoi recarti al gabinetto. Con poche eccezioni può licenziarti per una ragione qualsiasi, o anche per nessuna. Può spiarti facendo uso di informatori ed ispettori, compila un dossier per ogni impiegato. L’atto di ribattere viene chiamato “disobbedienza” o “impudenza”, proprio come se il lavoratore fosse un bambino impertinente o maleducato. Lo storico Erodoto considerava il disprezzo per il lavoro come un tratto caratteristico della Grecia classica al culmine della sua fioritura.

Abolire il lavoro oggi è impossibile? Forse, è chiaro che sia un sistema non più adatto alle libertà individuali e ai propri diritti. La moderna psicologia del lavoro inganna gli individui, manipolandone le coscienze per il profitto delle grandi aziende, in linea con un’epoca dove lo sfruttamento non può più avere le forme di un secolo fa.

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