Nell’agosto scorso alcuni C130 dell’esercito italiano sono giunti in Italia da Kabul con il loro carico umano di profughi, in fuga da un Paese devastato da oltre 40 anni di guerre e con l’incombente pericolo dei talebani di cui si temono tuttora violenze e ritorsioni, soprattutto per chi in questi anni ha appoggiato le forze afghane regolari e i militari della NATO.
Abbiamo ancora tutti negli occhi le immagini strazianti delle madri che lanciavano i loro figli oltre il filo spinato del muro di cinta dell’aeroporto di Kabul, affidandoli ai militari in partenza, nel disperato tentativo di assicurare, almeno a loro, un futuro diverso da quello di essere uccisi, rapiti o addestrati come kamikaze, anche al prezzo di non vederli più, di morire di dolore; oppure quelle dei giovani che, in preda al terrore, hanno tentato la fuga aggrappandosi ai carrelli degli aerei in partenza.
Quasi tutte le forze politiche italiane (a parte Lega e Fratelli d’Italia) si sono dette, nell’estate scorsa, disponibili a predisporre piani di accoglienza e corridoi umanitari e anche molti sindaci delle città italiane, da Beppe Sala a Virginia Raggi, hanno dato la loro disponibilità ad accogliere.
Per una volta – verrebbe da dire – abbiamo visto il volto umano della politica che riesce a mettere da parte populismi, egoismi, disumanità e offre assistenza, le cure necessarie alla sopravvivenza e progetti di integrazione in quanto queste persone difficilmente riusciranno un giorno a fare ritorno al loro Paese.
Eppure, io non riesco a non cogliere in tutto questo una vena di ipocrisia.
Nel momento in cui la tragedia è sotto gli occhi del mondo, ecco la politica farsi bella, mostrare il lato migliore, umano, attivando un ponte aereo che, nel giro di pochi giorni, ha portato in Italia quasi 5000 profughi.
Allora io mi chiedo: perché questa politica non mostra lo stesso interesse verso i profughi, in gran parte afghani, che tra botte, torture (in particolare da parte della polizia croata) e respingimenti illegali da parte di Croazia, Slovenia e perfino Italia (anche se sembra che, dopo la condanna da pare del Tribunale di Roma nel novembre del 2020, questa odiosa pratica si sia in parte affievolita) percorrono la “rotta balcanica”?
Delle esperienze da me vissute fra questi profughi con l’organizzazione Mamre di Borgomanero (Novara) , di cui faccio parte, parlerò nel prossimo post.
Con questo post Gabriele Sala inizia la sua collaborazione con Sconfinamenti.
Infermiere da pochi mesi in pensione, Gabriele collabora con l’associazione Mamre di Borgomanero (NO) che, sul territorio, si occupa di donne vittime di violenza e dei loro bambini, ma anche di persone migranti con missioni in Libano, nei campi profughi siriani e in Bosnia-Erzegovina.
L’associazione di cui fa parte collabora con “Linea d’ombra” di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, con l’associazione “20k” di Ventimiglia, con don Luigi Chiampo, parroco di Bussoleno, a cui porta aiuti alimentari destinati a sostenere i migranti che cercano di attraversare il confine con la Francia.
Recentemente Mamre è intervenuta a Napoli, nei quartieri di Scampia, Sanità e San Giovandni a Teduccio per sostenere le attività di lotta al degrado e alla povertà messe in atto da alcuni sacerdoti coraggiosi e da molti volontari impegnati in questa battaglia e in Puglia, per conoscere e far conoscere la tragica realtà del caporalato, ma anche i sussulti di dignità e la voglia di riscatto dei molti lavoratori sfruttati e talvolta ridotti in schiavitù.
L’associazione pubblica la rivista “IQBAL” distribuita gratuitamente in un numero limitato di copie e scaricabile sul sito dell’associazione