Svizzera: la neutralità alla prova della guerra

La neutralità è una caratteristica costitutiva della Svizzera moderna.

Dopo la confitta di Napoleone, le potenze vincitrici, riunite nel Congresso di Vienna, concessero alla Svizzera un diritto di neutralità permanente.

Da un punto di vista giuridico, la neutralità, stabilita con la Restaurazione e ridefinita dalla Convenzione dell’Aia del 1907, si è conservata fino ad oggi e prevede   innanzitutto l’astensione della Confederazione dalla partecipazione a conflitti, fatto salvo naturalmente il diritto di autodifesa in caso di aggressione.

Inoltre, la Confederazione si impegna a non fornire   appoggio militare a Paesi in guerra e a non a consentire l’uso del proprio territorio a una delle parti belligeranti.

Dal punto di vista politico la neutralità è stata interpretata in modo flessibile se si pensa, ad esempio, che durante la guerra fredda la Svizzera, pur non aderendo alla Nato, si schierò di fatto dalla parte dell’Occidente e dal 1996 condivide con l’Alleanza atlantica un partenariato   che prevede anche forme di coordinamento militare; dal 1999 è inoltre presente   nel Kosovo un contingente militare svizzero integrato con le forze Nato nell’ambito di un mandato Onu. La stessa adesione all’Onu, avvenuta non a caso solo nel 2002, ha comportato un nuovo adattamento, in quanto implica appunto che la neutralità non si applica a missioni internazionali decise dall’Onu. Da gennaio di quest’anno oltretutto la Svizzera fa parte come membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

 L’invasione russa dell’Ucraina ha costituito un importante banco di prova per la neutralità, non solo per la Svizzera come dimostra la richiesta di Svezia e Finlandia di rinunciare alla loro storica neutralità, con la richiesta di adesione alla Nato.  In Svizzera si è sviluppato    un forte dibattito con differenziazioni che hanno assunto   aspetti anche politicamente trasversali. Le stesse posizioni ufficiali del governo, sostenuto da tutti i maggiori partiti del Paese, non riescono a nascondere le differenze esistenti anche al suo interno, come riflesso di quelle che attraversano l’intera società e che non mancheranno di manifestarsi ancora più nettamente nei prossimi mesi, probabilmente anche tramite consultazioni popolari.

L’esecutivo ha dunque ribadito ufficialmente che la neutralità svizzera rimane valida e  non consente  quindi l’appoggio militare a nessuna delle parti in conflitto anche  dopo l’invasione russa.

L’adesione svizzera alle sanzioni contro la Russia non viene ritenuta in contraddizione con la condizione di neutralità in quanto il governo russo si è reso responsabile di gravi violazioni dei diritti umani mentre   il governo di Putin non riconosce più alla Svizzera la possibilità di esercitare un ruolo di mediazione nel conflitto.

La cooperazione con la Nato verrà rafforzata ma un’adesione svizzera all’Alleanza viene esclusa.

Sull’eventuale modifica della legislazione sulla fornitura di armi a favore di Paesi democratici, il governo ha promosso una riflessione che ha portato alla formazione di una commissione incaricata di approfondire la questione e di formulare proposte

 Secondo gli accordi  basati sull’attuale  legislazione   svizzera, i  Paesi che acquistano materiale bellico svizzero  si impegnano a non rivenderlo, principio fatto valere  anche dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nei confronti di   Danimarca, Germania e Spagna.

 L’ apposita Commissione parlamentare ha proposto a maggioranza nei giorni scorsi di limitare a cinque anni il suddetto divieto, almeno nei confronti dia alcuni Paesi che s’impegnano a non cederle a Pesi impegnati in conflitti interni o internazionali   o che non garantiscono il rispetto dei diritti umani. La minoranza della stessa commissione vede invece in questa proposta un’inammissibile concessione ai produttori svizzeri di armi oltre che, nella situazione specifica, un modo per aggirare il divieto di fornire armi all’Ucraina.

 Inchieste giornalistiche hanno più volte denunciato che armi svizzere finiscono   direttamente o indirettamente a Paesi belligeranti e spesso   privi di qualsiasi rispetto dei diritti umani. Molto spesso gli interessi dei produttori di armi sfuggono a qualsiasi possibilità di effettivo controllo politico, con l’alibi magari della libertà d’impresa.

Già durante il nazismo, del resto, i produttori di armi svizzeri non mancarono di fare affari anche con la Germania. L’associazione pacifista Ifor-Mir denuncia che la lobby delle armi vanta una cospicua presenza in Parlamento, su cui esercita una forte influenza. Secondo dati ufficiali del governo, fra il 1975 e il 2021, la Svizzera ha esportato materiale bellico per un valore complessivo di oltre venti miliardi di franchi   a cui vanno aggiunti i finanziamenti degli istituti finanziari svizzeri alle industrie che producono armi; tutti gli indicatori mostrano una tendenza all’aumento di questi dati.   La neutralità si rivela insomma, oggi come nel passato, un   modo per incrementare l’esportazione di armi che spesso, al di là delle restrizioni legali, finiscono, come denunciato da varie inchieste giornalistiche, in zone di guerra o vengono utilizzate per scopi repressivi da governi autoritari. Alla luce di tutto questo forse il ripensamento del ruolo della neutralità svizzera dovrebbe essere ancora più radicale e prendere una direzione diversa rispetto al passato.

  Andreas Missbach, dirigente di Alliance Sud,    sostiene a tal proposito che   la Svizzera   ha bisogno di una neutralità compassionevole verso i rifugiati e di anteporre il rispetto dei diritti umani   a un affarismo senza scrupoli.

Questo sarebbe il modo migliore oltretutto per riaffermare e valorizzare quelle tradizioni umanitarie di cui la Svizzera va giustamente orgogliosa e permetterebbe al Paese di essere parte più attiva nel promuovere politiche internazionali di convivenza pacifica. https://sconfinamenti.info/svizzera-neutralita-inflazionistiche/

 

 

 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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