Le carceri europee sono spesso nascoste al pubblico, ma le loro carenze sono state oggetto di attenzione da parte delle corti europee: le condizioni detentive degradanti in molti Stati membri dell’UE violano i diritti fondamentali e ostacolano la cooperazione giudiziaria.
Attualmente, le condizioni di detenzione nelle carceri dell’Unione europea sono regolate da norme nazionali, che variano da Stato membro a Stato membro. Questa mancanza di armonizzazione può comportare situazioni in cui le condizioni di detenzione di un detenuto in un Paese dell’UE sono molto diverse da quelle di un detenuto in un altro Paese.
La possibilità e la desiderabilità che l’UE intervenga nell’ambito della detenzione, anche attraverso l’adozione di norme minime, fanno da tempo parte delle discussioni interistituzionali su come rendere più efficace il principio del riconoscimento reciproco.
Nella sua risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali del 13 dicembre 2016, il Parlamento europeo aveva espresso le sue preoccupazioni in merito alle condizioni carcerarie in alcuni Stati membri, sottolineando il sovraffollamento e i maltrattamenti, e invitato la Commissione a valutare l’impatto del sistema carcerario e di giustizia penale sui bambini, nonché a sostenere gli Stati membri in questo senso e a facilitare lo scambio di buone prassi.
Nel dicembre del 2022 la Commissione europea ha adottato una raccomandazione che stabilisce standard minimi comuni per le condizioni di detenzione:
- per rafforzare i diritti degli indagati e imputati soggetti a custodia cautelare, sia in relazione ai loro diritti procedurali che alle condizioni materiali di detenzione,
- Per garantire che le persone che sono in carcere siano trattate con la dignità e nel rispetto dei loro diritti fondamentali.
Tra i punti chiave, oltra a vari diritti processuali (dal diritto alla traduzione e interpretazione, a quello di informazione e avere un avvocato, presunzione di innocenza, garanzie procedurali per bambini e gratuito patrocinio), nel documento figurano tutta una serie di raccomandazioni legate alle condizioni materiali di detenzione. Per esempio, si fa riferimento a igiene e condizioni sanitarie, periodi di permanenza all’esterno della cella e all’aperto, contatti con il mondo esterno, misure speciali per le donne e le ragazze; gli stranieri; i minori e i giovani adulti; le persone con disabilità o patologie gravi; e anche misure speciali per prevenire la radicalizzazione nelle carceri.
Nello studio pubblicato nel febbraio del 2023 e commissionato dal Dipartimento per le politiche dei cittadini e gli affari costituzionali del Parlamento europeo su richiesta della Commissione LIBE, figura anche altre due problematiche: quella del massiccio uso della detenzione preventiva – secondo l’ultimo report del Consiglio d’Europa, sarebbero oltre 98 mila le persone nelle carceri europee sottoposte al regime di custodia cautelare il che significa che un detenuto su cinque, sul territorio comunitario, è un presunto innocente – e quella del sovraffollamento delle carceri, che incide direttamente sulla possibilità di garantire adeguate condizioni di vita ai detenuti. Secondo i dati raccolti dal Consiglio d’Europa, in 7 paesi dell’Unione europea il numero di carcerati supera la capienza, tra i quali Italia, Grecia e Belgio. Lo stesso studio evidenzia anche che il tasso di occupazione delle strutture carcerarie ad esempio in Belgio diminuirebbe di oltre 60 punti percentuali se non fossero più detenute in carcere le persone non condannate.
Per Daniel Danglades, Membro del Consiglio di amministrazione del CEP (Confederation of European Probation) e vice capo dell’unità Relazioni europee e internazionali, Ministero della Giustizia, Francia, è fondamentale lavorare con chi ha ricevuto la pena, la struttura carceraria e la comunità. L’obiettivo deve essere quello di promuovere l’inclusione sociale degli autori di reato attraverso sanzioni e misure comunitarie come la libertà vigilata, i servizi sociali, la mediazione e la conciliazione. Tutto ciò non deve essere inteso come un insieme di misure alternative alla “vera” pena, ma come un appello alla partecipazione civica, nel rispetto della tutela giuridica e aperta al coinvolgimento e al controllo dell’opinione pubblica. E’ fondamentale quindi promuovere e stimolare un processo di cambiamento del detenuto che tenga conto e riconosca l’importanza dei bisogni specifici dell’individuo (piuttosto che presumere che gli autori di reato abbiano tutti bisogni simili) e anche coinvolgendo la famiglia o altri membri importanti della rete sociale della persona. Tutto ciò – va da sè – implica un coinvolgimento di nuove figure nelle carceri, al di là della polizia penitenziari.
“L’incarcerazione di massa – sottolinea anche la criminologa svizzera Roberta Schaller – non risolve e non ha migliorato i problemi legati a violenza e criminalità perché la lunghezza della pena non corrisponde al riconoscimento delle proprie responsabilità. Ciò può avvenire invece là dove c’è un sistema carcerario organizzato, senza pene eccessivamente lunghe.” Non è buttando via la chiave della cella carceraria, insomma, che si tiene la collettività davvero al sicuro da danni e violenze. “Centrale è invece l’assistenza riabilitativa, improntata a risocializzare il detenuto – continua Schaller – Sono necessari programmi volti a far sì che chi ha commesso un reato riconosca il danno fatto subire alla vittima. Si parla, in questo senso di giustizia riparativa”, che si affianca al tradizionale paradigma della giustizia punitiva e intende rispondere proprio alla domanda di “che cosa può essere fatto per riparare i torti”.
A differenza del resto dei paesi nel continente europeo, in Svizzera raramente si arriva all’incarcerazione a vita (articolo 64 del sistema carcerario) perché l’assistenza riabilitativa comincia prima e continua dopo lo sconto della pena che parte quindi all’interno del carcere e continua fuori, “andando a creare, per il carcerato, una rete sociale “nuova” al di fuori delle mura carcerarie e che sia improntata a riprendere gli affetti familiari e con punti di riferimento nella società che siano diversi da quelli che hanno condotto al reato.”
Daniel Danglades e Roberta Schaller sono intervenuti all’interno della trasmissione “L’Ue sotto la lente” che si è occupata di “Come sta la popolazione detenuta in Europa” (qui).